mercoledì 30 dicembre 2020

Una crisi per una rinascita (ma costruiamola bene)

 Per la fine dell’anno 2020 alcune riflessioni che vorrei beneauguranti. Abbiamo trascorso un anno che classificare fra i difficili è dire poco. Siamo stati esposti all’incognito che noi stessi abbiamo contribuito a creare, un pericolo sconosciuto e nocivo che emerge dai meandri dei fiumi sotterranei che il nostro modello sociale va a scoprire e portare all’aperto, in un’azione desacralizzante e non scientifica di tutto ciò che esiste ed è alla nostra portata. Conseguenze immaginate - al contrario di ciò che molti scrivono - ma non valutate nella loro reale portata, frutto di un mondo abituato a procedere senza porsi limiti. 

Un concetto fastidioso, quello di limite, non per niente le più grandi minacce che incombono su di noi ci mostrano limiti che non vogliamo vedere: lo sfruttamento delle risorse naturali, lo stato della biosfera terrestre e del sistema climatico, la nostra intrusione nei sistemi naturali che ancora resistono. Ignorare l’opportunità di porci dei limiti (validi, studiati, scientifici) a livello individuale e collettivo ci espone alla scelta di perdere il controllo completo su noi stessi: il vaccino, che non poche persone temono, che inietta nel nostro corpo agenti esterni utili a contrastare un virus sconosciuto alle nostre difese immunitarie. La pandemia del 2020 ci ha mostrato come non mai che fra le conseguenze dell’agire senza limiti autoimposti c’è la perdita dell’integrità individuale, operazione necessaria (e speriamo sufficiente) a contrastare la malattia. Il pipistrello portatore del virus finito sui mercati alimentari in una lontana provincia asiatica, tolto dal folto della foresta, ha esposto tutto il mondo, interdipendente da sempre ed ora ancor di più, ad un rischio mortale che per tanti, troppi, si è trasformato in morte reale. Il limite è stato violato (non esistono più i “boschi sacri” di un tempo, e non si è formata parallelamente la coscienza ecologica necessaria) ed ora è indispensabile intervenire con un’azione sanitaria collettiva in cui praticamente cediamo un pezzo di sovranità sul vostro corpo. Lo facciamo per il bene di noi tutti, questa volta su basi scientifiche - quelle stesse che nessuno segue se si tratta di sfruttare i sistemi naturali - ma su un piano collettivo altrimenti è inutile. Una forma di responsabilità che riguarda tutti, fatta eccezione per condizioni patologiche estremamente rare di gravi allergie, nei confronti di tutti gli altri. In altre parole, da questo profondo gorgo ne usciamo solo insieme.

La società del rischio, la società dell’incertezza, con potenziali danni di dimensioni globali, alla quale dobbiamo trovare forme di adattamento. Partendo da un base ormai certa: il fatto che non potremo mai dominare la realtà. Dobbiamo accettare innanzitutto il senso di insicurezza come elemento costitutivo del mondo reale, e da qui partire nuovamente per costruire. Adattarci non significa rinunciare. 

Scendendo su un piano concreto, è ormai chiaro che il discorso complessivamente convergente nel processo denominato “globalizzazione”, fondato su teorie economiche definite “neoliberiste”, è fallito, abbattuto sotto i colpi di crisi economiche, conflitti striscianti, attentati terroristici, attacchi ai sistemi naturali, e pandemia. Chi hanno raccontato false promesse per trent’anni, la strada scelta ora è definitivamente chiusa, priva di ponti per il futuro. (Amara soddisfazione per coloro che, come chi scrive, aderirono al movimento denominato in breve “no-global” oltre vent’anni fa, vedere ora molte delle tesi di allora confermate nei fatti).  

Ora si tratta di guardare avanti per costruirlo, il futuro, memori delle lezioni apprese. Uno dei pilastri su cui edificarlo riguarda il concetto inteso con la parola “sviluppo”: esso deve essere qualitativo, inclusivo, esteso geograficamente. Ma non può essere illimitato. 

Riscrivo: lo sviluppo deve essere qualitativo e inclusivo, esteso a tutta la Terra e i suoi abitanti, ma non illimitato. I limiti dello sviluppo esistono e non possiamo ignorarli, pena tragedie che possono essere di gran lunga peggiori del Covid19.

La modernità deve riscoprire il senso della comunità, del progetto comune che riguarda l’umanità. Dalla pandemia usciremo solo insieme, dalle sfide globali (fame, sottosviluppo, crisi climatiche) usciremo solo insieme. Nessuno si salva da solo. 

Essa deve anche scoprire, e sta scoprendo, il valore della fragilità, della presenza dei più deboli, della necessità di cura. Quando tutti cercano il potere puntando l’attenzione lontano si perde di vista il paesaggio vicino, dove necessità importanti superano con una bassa collina l’alta montagna che si staglia all’orizzonte.

La scienza può essere utile per guidare le scelte. La scienza non è infallibile, ma è la costruzione umana migliore per comprendere il mondo. A volte si legge che proprio la scienza ha guidato lo sfruttamento della Natura che oggi paghiamo a prezzo sempre più caro, ma questa è una tesi falsata dal fatto che dei principi scientifici si traggono solitamente solo quelli utili a creare profitto. I limiti dello sviluppo sono insiti nel Secondo Principio della Termodinamica, e non sarà certo una teoria economica a modificarne i contenuti. 

Dunque, ricominciamo, ricordando che ciò che facciamo non è vano, ma ha conseguenze prossime e lontane, presenti e future. La crisi presente apre al nuovo. Il mondo ha bisogno di un cambiamento che questo doloroso momento di passaggio può accelerare; l’augurio è che si riesca ad approfittare dell’occasione nel migliore dei modi. 

Auguri di un 2021 migliore possibile.


sabato 5 dicembre 2020

Lo Stato del Pianeta

 Oggi vorrei fare un paio di segnalazioni. La prima: il discorso del Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres alla Columbia University “Lo Stato del Pianeta”. Si trova per intero sul sito dell’ONU all’indirizzo in calce, in inglese. 

Si tratta di un discorso duro, che espone con puntiglio tutti i principali problemi ambientali che affliggono il pianeta Terra, dei quali non facciamo fatica ad individuare le cause antropiche. Dopo i debiti ringraziamenti comincia così: “Cari amici, l’umanità sta facendo guerra alla natura. Questo è suicida. La natura sempre contrattacca - e lo sta già facendo, con forza e furia crescenti.” Segue un lungo elenco di disastri che in misura evidente ed inoppugnabile stanno caratterizzando il nostro mondo, il legame con le iniquità che colpiscono i più deboli, con i diritti dei popoli che vivono allo stato di natura, con le epidemie come quella che ci sta colpendo, e le iniziative già in campo o che si prospettano, per cambiare direzione. Conclude con le parole seguenti: “Questo è il tempo di trasformare le relazioni del genere umano con il mondo naturale - e gli uni con gli altri. E dobbiamo farlo insieme. Solidarietà è umanità, solidarietà è sopravvivenza. Questa è la lezione del 2020. Con un mondo disunito e in confusione che tenta di contenere la pandemia, impariamo la lezione e cambiamo percorso per il periodo centrale che abbiamo di fronte.”


Stiamo facendo guerra alla Natura (con la “N” maiuscola). Non dimentichiamolo quando subiamo le conseguenze di tempeste e uragani, quando la siccità riduce le riserve idriche, o quando l’eccesso di precipitazioni inonda il territorio, quando assistiamo alla fuga dei migranti da aree non più coltivabili. La guerra alla Natura - forse lascito di arcaiche pulsioni di sopravvivenza - è per assioma una guerra persa in partenza, ma di così ampia portata che espone ad un rischio estremo tutta l’umanità (presente e futura). Come dire, oltre a perderla l’abbiamo dichiarata noi e include il pulsante dell’autodistruzione. 

Dobbiamo dichiarare la pace, come sostiene Guterres, al più presto, magari scusandoci per l’equivoco. Siamo in tempo, ma il tempo è ora. Questo è il momento del cambio di prospettiva, non si ascoltino gli interessi contrari, le lobby di potere, non si ascoltino i mugugni di chi ci guadagna anche se piccolo, non si ascoltino le sirene dei sostenitori dello status quo, tanto tutto tornerà come prima. Stanno pensando solo al proprio tornaconto. 

In America Donald Trump, esimio antiambientalista estrattore e consumatore di risorse collettive, è stato mandato a casa senza il secondo mandato da Presidente. Al suo posto un nuovo Presidente con idee opposte, un cambio di un angolo piatto per il quale vorrei ringraziare gli americani a nome mio e forse anche a nome del resto del mondo. Non so cosa farà Biden nel concreto, ma è evidente la volontà degli elettori di cambiare nettamente percorso e prospettive. 

Dobbiamo cambiare radicalmente tutti. 

Questo è il tempo di un nuovo sistema economico e sociale che ci consenta di vivere in armonia fra noi, e con la Natura, lasciando in eredità ai giovani ed alle prossime generazioni un pianeta vivibile, ancora ricco di vita, di risorse, di opportunità. Per ottenere questo non dimentichiamo di non portare mai in posizioni di potere coloro che non credono nella scienza. Alla base delle difficoltà nell’approccio alla più grande sfida dell’umanità c’è il disconoscimento delle basi scientifiche del problema, una negazione che ne impedisce alla radice la soluzione. Questo non è più ammissibile.


La seconda segnalazione è più tecnica. Sul sito Qualenergia è presente un’utile raccolta di informazioni sul Superbonus 110% che contiene praticamente tutto, fra testi ufficiali, articoli, novità. Una vera e propria guida completa di commenti e analisi per chiarire o per necessità pratiche.


L’indirizzo dove leggere il discorso di Guterres:


https://www.un.org/sg/en/content/sg/speeches/2020-12-02/address-columbia-university-the-state-of-the-planet


La pagina di Qualenergia tutto sul Superbonus:


https://www.qualenergia.it/articoli/tutto-sul-superbonus-110-la-raccolta-di-qualenergia-it/

domenica 29 novembre 2020

Next Generation Italia

 Si legge quest’oggi su Il Domani che la pubblica amministrazione italiana così com’è non è in grado di gestire i fondi europei che dovrebbero servire ad uscire dalla crisi e determinare lo sviluppo futuro. Un articolo a firma di Stefano Feltri propone una corposa assunzione di giovani (500 mila, riprendendo la proposta del Forum Diseguaglianze) per evitare di affidarsi a commissari straordinari e consulenti esterni, che finiscono per entrare in conflitto con gli statali che lavorano nei pubblici uffici, e che comunque sono preposti agli stessi compiti. Non è tema di poco conto. Su Repubblica di oggi e sullo stesso argomento si leggono invece gli scenari politici dietro la strutturazione della gestione del progetto europeo per la parte che ci riguarda, con annessa giostra dei nomi che entrerebbero nel Governo a vario titolo. Di quest’ultimo aspetto non se ne può più. E’ insostenibile il continuo ciarlare di questo o di quello, abbigliamento incluso, aspirazioni personali, arredi dell’ufficio. Il nostro Paese ha bisogno di persone che si occupino dei temi concreti e lo facciano con competenza; di ciò che succede dietro le quinte non c’è alcun interesse.

Il tema sollevato da Feltri è pregnante in un Paese moderno che spesso si lamenta della qualità della pubblica amministrazione e degli aspetti eccessivamente burocratici che lo appesantiscono. La via d’uscita è una sola: assunzioni su base di reali ed effettive competenze specifiche. La proposta mi sembra condivisibile, compreso l’aspetto pratico teso ad evitare, rinunciando alle liste d’attesa in forma di graduatorie, aspettative vane e gravose per lo Stato stesso. Se si vuole alleggerire lo si faccia dove è opportuno. 

Ma va posta in primo piano assoluto una qualità: la competenza specifica. Senza di essa, il nostro Paese semplicemente non sarà in grado di gestire i fondi che questa volta avrà a disposizione e che davvero sono in grado di fare la differenza nel suo sviluppo futuro. Una caratteristica che dovrà riguardare anche gli esponenti politici che se ne occuperanno, ad ogni livello. 

E comunque non sarà facile. Non si tratta di spendere parole ad un intervento, si tratta di fare scelte concrete. Prendiamo in considerazione la svolta green, di cui tutti parlano da qualche tempo: non è una costruzione banale, al contrario richiede competenze tecniche e scientifiche. Che sia per questo che il Governo rimane fermo sui bonus verdi? Le parole più volte dedicate non stanno producendo granché, occorre un intervento più incisivo. Figuriamoci il piano con cui dovremo rispondere alle aspettative europee. 

Il rischio è quello di avvitarsi: vogliamo rinnovare l’Italia, ma non abbiamo le strutture adatte per rinnovare l’Italia. Va fatto un salto di qualità, correndo il rischio connesso. Un impegno, un investimento iniziale, una visione lungimirante. In fondo, fu - quasi - un uomo da solo a determinare la linea di viluppo del nostro Paese nel dopoguerra, possiamo unirci a farlo insieme ora (mi riferisco ad Enrico Mattei). Mentre lo Stato torna nell’ex-ILVA e nell’acciaio, abbiamo l’opportunità di studiare una linea adeguata che sia complessiva e non parziale. Non è più tempo di scelte sconnesse e limitate, ora serve un’azione sinergica ben preparata.


martedì 24 novembre 2020

Elezioni a Bologna nel 2021: alla ricerca dei candidati (del PD)

La città di Bologna avrà un nuovo Sindaco il prossimo anno, il 2021. Scade infatti il prossimo anno il secondo mandato dell’attuale Sindaco, Virginio Merola, eletto la prima volta nel 2011. Il Partito Democratico bolognese si trova di fronte ad una sfida importante, quella di portare a casa l’elezione di un Sindaco PD in una città che, se è stata un simbolo per la sinistra, ora resta un centro dell’agire politico di rilievo nazionale all’interno di uno dei territori per molti aspetti fra i più avanzati d’Italia. 

Il dibattito politico è aperto e riportato quotidianamente sui giornali locali, nomi e cognomi dei principali contendenti, interventi dell’uno o dell’altro. Credo che sia normale, ma incomincia a diventare un po’ stucchevole. Davvero -  e quante volte lo si è sottolineato - piacerebbe ogni tanto leggere (in questi tempi di Covid per sentire parlare ci si deve collegare online) dei programmi, delle idee, della visione di città futura che coloro che stanno pensando di candidarsi a guidarla hanno. Il Segretario bolognese Luigi Tosiani sta portando avanti un bel percorso di ascolto e condivisione di cui non emerge praticamente nulla, se non i nomi. Nomi che non riprenderò qui per sottolineare, appunto, la necessità di entrare nel concreto delle prospettive che aprono le varie candidature (eventuali).

Un’altra ragione sostiene l’opportunità di virare entrando nel merito, e si tratta del ruolo di potere eccessivo che acquistano le varie correnti interne, intenzionate a spuntarla imponendo il proprio candidato. Così, il tentativo di “candidatura unitaria” finalizzato a non rompere l’unità del partito rischia di generare esattamente l’opposto se nel cercarla ci si focalizza esclusivamente sui nomi esacerbando le divisioni - e stanti gli interventi pubblicati in questi giorni sui quotidiani non è un’ipotesi vuota. 

Nel clima che si è creato credo che non sia da scartare la proposta di fare le primarie, peraltro caratteristica del Partito Democratico, frutto del suo statuto, fino dalla nascita. Tali primarie dovranno essere in presenza. Se il rischio rappresentato dal Covid è una novità, sappiamo bene che lo si può gestire con oculatezza organizzando l’accesso ai gazebo nelle modalità che ormai conosciamo per garantire la sicurezza  e che applichiamo praticamente ovunque si incontrino altre persone (uffici pubblici, negozi, etc., inclusa la Festa dell’Unità dello scorso settembre).

La scelta di una candidatura unica, senza la consultazione delle primarie, è opportuna quando emerge una figura che si eleva più delle altre, che si evidenzia autonomamente per autorevolezza,  della quale non c’è bisogno di discutere per mesi. Se una figura del genere non c’è, occorre prendere atto della situazione e passare oltre. Organizzando le primarie, che non sono certo uno spauracchio visto che sono sempre state validate da alti numeri della partecipazione da parte degli elettori del partito.  I cittadini apprezzano; cos’altro occorre?

A questo punto, da iscritta affermo che mi sembra la migliore prospettiva. Vedremo cosa deciderà il PD bolognese. 


 


mercoledì 28 ottobre 2020

Viviamo dentro ad un sistema che rischia il collasso?

 Che il governo stia affrontando un periodo particolarmente difficile è evidente a tutti. Il virus si sta diffondendo nuovamente con cifre importanti: ad oggi, quasi 15.000 ricoverati, 1.536 in terapia intensiva, 260.000 in isolamento domiciliare, ed un totale di 37.905 decessi. Credo che questi dati siano quelli che contano, molto più del totale dei positivi. Il recente decreto prova a limitare il danno, già enorme, con provvedimenti che risultano gravosi nel loro sommarsi a quelli precedenti che abbiamo stoicamente sopportato la scorsa primavera.

L’intera società italiana (e mondiale) sta affrontando un periodo gravoso. La “seconda ondata” del virus ci sta investendo tutti, ponendoci davanti ad un nemico imprevedibile, invisibile, estraneo al nostro controllo, pericoloso ma non per tutti, dunque infido. Un alieno? No, un virus terrestre, ma sconosciuto al genere umano, che di virus comunque se ne intende. Ci colpisce perché siamo andati a cercarlo, nel profondo di ciò che resta di Madre Natura, nella foresta, nel territorio ancora ignoto di ciò che non vediamo. Non tutto ci è noto del grande mistero che ci attornia: sappiamo di più della superficie della Luna (è appena giunta la notizia dalla Nasa che c’è persino abbondanza d’acqua) che dei microrganismi che popolano la Terra ed i suoi esseri viventi. Se c’è una lezione che dovremmo imparare da questa vicenda è che non tutto è sotto il nostro controllo, e ciò che non lo è può risvegliarsi all’improvviso mettendoci sotto scacco. 

Ne “La guerra dei mondi” di H.G. Wells, scritto nel 1897, gli alieni feroci fanno una brutta fine, uccisi dai batteri terrestri ai quali noi siamo immuni, abituati nei lunghi periodi dell’evoluzione. La Terra è casa nostra. 

Ma la Terra è ferita da noi stessi. Rivoltata come un calzino, seccata come un deserto assolato, resa calva, ingegnerizzate geneticamente le sue piante, i suoi animali, che vivono quotidianamente l’inferno che noi abbiamo preparato per loro. Ogni genere di animale macellato e venduto nei mercati asiatici o africani, maiali, mucche e polli che sopravvivono una breve terribile esistenza nei gironi infernali degli allevamenti intensivi (nostri e di ogni Paese del mondo), intere specie che scompaiono per sempre ogni giorno, ogni ora, e la cui scomparsa avrà una serie di conseguenze negative nella rete della vita che prospera sulla Terra. O che prosperava?

Come va il Pil? Qualcuno si sta chiedendo, o i giornali stanno scrivendo, come va il Pil? L’unico indice di cui ci importava (e di cui importava ad un’intera classe politica) fino a ieri?


Come sia possibile non vedere che stiamo segando il ramo su cui siamo seduti è in parte un mistero. Anche non ci importasse niente della splendida roccia ricoperta d’azzurro sospesa nello spazio  che ci sostiene da ere geologiche. 

Abbiamo creato la società del rischio (U. Beck) e non sappiamo farvi fronte. Ulrich Beck ha scritto il suo libro nel 1985 (!) e nessuno ha capito ancora nulla, o meglio, è stato studiato ma non applicato, interiorizzato, concretizzato. L’esposizione al rischio con tutte le sue conseguenze è strutturale nella nostra società, la cui complessità ci resta estranea. Ad oggi, è un fatto che non sappiamo rapportarci ad essa, e che il degrado ambientale ne fa parte, in modo così intricato che sembra impossibile trovare una via d’uscita. 

In termini fisici, stiamo incrementando enormemente e velocemente l’entropia del pianeta su cui viviamo. Lo stesso sistema che abbiamo costruito è fortemente entropico, instabile, pronto a collassare, che si tratti di un ordigno nucleare sfuggito al controllo (e chi può dire della certezza dei sistemi di sicurezza?), degli idrati di metano che improvvisamente sfuggono dalle profondità marine perché riscaldati dall’aumento della temperatura mondiale, o di virus ed altri microrganismi che incrociano specie diverse diffondendosi ben oltre il limite che avrebbe posto loro la Natura.

Si tratta di rischi gravi, si tratta di quelli più noti, ma non sono i soli. E’ l’intero sistema a generare un continuo stato di rischio di cui non ci sentiamo responsabili.

Essi sono parzialmente imprevedibili. Parzialmente, poiché sono decenni che sappiamo che abbiamo costruito un sistema capace di distruggere tutto in un lampo, che stiamo aumentando il calore che rimane legato alla Terra, che stiamo mescolando ciò che doveva restare separato (entropia, appunto). Il saggio di Jeremy Rifkin intitolato “Entropia” è del 1980. I sistemi sociali, economici, ambientali si stanno muovendo da uno stato ordinato ad uno stato di disordine. Il disordine è irreversibile, possiamo soltanto rallentarne la velocità.

Così come sono in molti a ricordare oggi “Spillover”, il saggio sull’eventualità di un’epidemia virale, scritto da David Quammen nel 2012, o l’intervento di Bill Gates di cinque anni fa. Cosa abbiamo imparato, certo nulla, impegnati a proseguire imperterriti sulla strada tracciata.


Certo, non eravamo preparati ad accogliere un attacco del genere dal punto di vista sanitario, comunicativo, politico, comportamentale. Ma non siamo nemmeno ora preparati a futuri eventi di grave rischio perché va cambiato il concetto di crescita che abbiamo in testa, il modello sociale, il rapporto con ciò che facciamo ogni giorno. Assumendoci la responsabilità di ciò che facciamo, a livello individuale e collettivo, perché non si tratta di fatti esterni al mondo, come siamo abituati a percepire le nostre azioni e persino noi stessi, ma di azioni che incidono sul mondo, modificandone le caratteristiche spesso per sempre.

Se non ne usciremo cambiati, allora il prossimo futuro sarà soltanto un’attesa irresponsabile del prossimo evento (pandemico, ambientale, sociale, tecnologico,...). Cambiati in profondità. Non basterà un sistema sanitario più adatto a questo tipo di emergenze, anche se ovviamente sarebbe utile. 

Certo, come si legge sul sito “Scienza in rete”: “L’imprevedibilità trova le sue radici non solo nella biologia di un virus, ma è anche il frutto dell’assenza di un sistema epidemiologico finalizzato a cogliere precocemente i segnali di situazioni di allarme.” (La statistica medica lancia una proposta per le prossime pandemie - Carle, Corrado, Montomoli)

Ecco. Cogliamo le situazioni di allarme, riguardo i virus, e riguardo ogni altra causa di grave pericolo. Questo è un primo passo necessario, ma sarà solo un primo passo.


Per avere informazioni in più, scientificamente fondate, suggerisco di seguire il sito “Scienza in rete”, in questi giorni ricco di articoli legati all’epidemia Covid-19. Il link è il seguente:


https://www.scienzainrete.it

sabato 10 ottobre 2020

Allora, si può fare!

Non so se sia stata la pandemia, o se ci saremmo arrivati comunque, ma da un po’ sembra proprio che il vento stia cambiando. 

Non passa giorno che il dibattito pubblico non tocchi la questione ambientale, politica inclusa: dal Presidente del Consiglio Conte, alla Presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen, dal Papa, ai dirigenti delle organizzazioni dell’industria e del lavoro, dalla scuola, alle associazioni di vari scopi e attività, alla pubblicità. 

Il Presidente Conte propone, fra le altre cose, di inserire il tema della tutela dell’Ambiente in Costituzione. La Costituzione italiana, da sempre lodata per la profondità ed il livello avanzato dei suoi contenuti, in effetti presenta un evidente vuoto sul tema ambientale, che si limita ad essere richiamato soltanto come “paesaggio”. Anche se con un articolo di contenuto estremamente circoscritto, va detto comunque che se tutelassimo il paesaggio davvero avremmo evitato gli scempi edilizi del dopoguerra, un’ulteriore prova che per lo più la nostra bella Costituzione è inattuata. La proposta di colmare questo vuoto va in ogni caso accolta con favore, arrivando a costituire un pilastro mancante alle fondamenta del nostro edificio comune. Sarebbe un bel passo avanti.

L’Unione Europea, frattanto, assume ancora una volta il ruolo di guida al livello internazionale sulla lotta alla crisi climatica. Il taglio di oltre la metà delle emissioni di gas ad effetto serra al 2030 può diventare una prospettiva concreta con le misure recenti messe in campo. Dopo la proposta della Commissione UE di ridurre del 55% le emissioni climalteranti entro il 2030, rispetto ai valori del 1990, il Parlamento europeo ha approvato un testo che chiede addirittura un bel -60% al 2030, a tutela del sistema climatico terrestre ed in favore di un progresso tecnologico e sociale a  basso impatto ambientale. Qui entrano in gioco anche gli orientamenti politici: Lega, Forza Italia, e Fratelli d’Italia hanno votato “no”. La propensione della destra a “tutelare” inquinamento e privilegi effimeri (anche gli inquinatori subiranno le conseguenze dei danni, impossibilitati a trasferirsi su Marte) non si smentisce, a danno della collettività (vedi link in calce).

Il programma Next Generation EU ha lo scopo di promuovere un avanzamento economico e sociale dopo la crisi della pandemia. Si legge sul sito “Il coronavirus ha sconvolto l'Europa e il mondo, mettendo alla prova i sistemi sanitari e previdenziali, le nostre società, le nostre economie e il nostro modo di vivere e lavorare insieme. Per tutelare la vita umana e i mezzi di sostentamento, per riparare il mercato unico e per costruire una ripresa duratura e prospera, la Commissione propone di liberare tutte le potenzialità del bilancio dell'UE. Con i 750 miliardi di € di Next Generation EU e il potenziamento mirato del bilancio a lungo termine dell'UE per il periodo 2021-2027, la potenza di fuoco complessiva del bilancio dell'UE arriverà a 1 850 miliardi di €.” Ebbene, Next Generation EU prevede di reperire il 30% dei 750 miliardi attraverso green bonds, titoli “verdi”, aventi scopi environmentally friendly. La finanza deve entrare nel problema ambientale e fare la sua parte.

E arrivano anche il social bonds, titoli “sociali”. In un tweet del 7 ottobre scorso, Paolo Gentiloni scrive “La prima grande emissione di bond europei sarà social. I 100 miliardi di #Sure per difendere il lavoro con strumenti come la Cassa integrazione saranno raccolti con #socialbonds”. 

Nell’ambito del pacchetto a sostegno dell’emergenza è stato adottato SURE, acronimo che in italiano ha il significato di strumento europeo di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione in emergenza. I soldi necessari saranno raccolti con emissione di social bonds.

Infine, la Chiesa Cattolica si sta muovendo grazie ad un Papa lungimirante, le nuove generazioni grazie a Greta Thunberg. Persino la pubblicità che imperversa nelle televisioni: auto ibride se non elettriche, estetica green dell’auto e dello spot. Persino la Fiat si è convertita, e ci propone la 500 elettrica.

Qualcosa si muove davvero? Per quali motivi abbiamo perso tanto tempo, in realtà alcuni decenni?

Non intendo indagare i motivi qui, ma credo che sia lecito affermare che una parte della responsabilità del ritardo - pericoloso -  sia a carico delle classi dirigenti che ci hanno preceduto. Ambiente, e ambientalisti, sono stati in fondo all’agenda di qualsiasi partito politico, organizzazione sociale e impresa non direttamente orientate all’ambiente, fino ad oggi. Ora va bene così, ma non fermiamoci.


Di seguito, alcuni dei siti a cui fare riferimento per approfondire i temi trattati nell’articolo:


https://www.consilium.europa.eu/it/infographics/ngeu-covid-19-recovery-package/


https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/IP_20_940


https://www.eunews.it/2020/10/07/lavoro-lue-sul-mercato-social-bond-convincere-investitori-finanziare-sure/135750


https://www.eunews.it/2020/09/16/clima-ursula-von-der-leyen-propone-riduzione-delle-emissioni-del-55-entro-2030/134583


https://europa.today.it/ambiente/clima-parlamento-emissioni-lega-fdi.html

martedì 29 settembre 2020

Politica e scienza, un binomio indispensabile

Si dice spesso che il cambiamento climatico, essendo un fenomeno in divenire, viene difficilmente compreso e ancor più stimato nella sua reale pericolosità. Di conseguenza, gli scienziati si sono attivati per rendere più facile ed immediata la comprensione del processo di mutazione in corso di un sistema complesso quale quello climatico, anche con l’aiuto della rete. 

Il Centro Europeo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) ha attivato un osservatorio che guarda al futuro, non per nulla denominato Foresight, con tanto di sito web, bello e articolato (in inglese). Riporto come sempre gli indirizzi in calce. 

La pagina di oggi - consultata il 29 settembre - si apre con un’analisi sugli eventi meteorologici estremi e la possibilità di predirli, con un articolo sul futuro della plastica, un pezzo che mette in luce il ruolo del metano nel climate change, un altro il ruolo delle balene nel sequestro del carbonio, e infine un dossier che indaga la relazione fra temperature più calde, clima più arido, e migrazioni che ormai coinvolgono milioni di persone. La stima riportata, molto variabile, va da diverse decine di milioni ad un miliardo di migranti ambientali al 2050. Queste sono le cifre con cui dovremo fare i conti, mentre le cause sono complesse e globali, altro che fermare una nave nel Mediterraneo - senza far parola dell’aspetto etico.  


Si tratta di una prospettiva enorme che non può essere certo ricondotta alle schermaglie politiche fra partiti, i quali invece avrebbero il compito di tentare di risolvere i problemi sulla base delle informazioni che provengono dagli studi scientifici in proposito. Il coronavirus che porta al Covid ha, in questo senso, modificato l’approccio del mondo politico a quello scientifico - il primo solitamente altezzoso e a volte persino sprezzante verso il secondo - in particolare nel nostro Paese, dove il Governo in carica ha apertamente adottato decisioni basate su risultanze scientifiche descritte da scienziati. Il Governo ha operato bene, aprendo una via praticamente inedita nella politica. Un fatto nuovo (non si vedeva nulla di simile dai tempi del dibattito sul nucleare, ma in forma e misura molto diverse) che può comportare conseguenze interessanti. Innanzitutto, una modifica culturale di non poco conto derivante proprio da un modello relazionale inedito di ascolto della politica nei confronti della scienza, in secondo luogo, scelte e decisioni di profilo tecnico come via prioritaria poiché la situazione lo richiede. Il Governo va encomiato per questo. 

Noi cittadini, dal canto nostro, possiamo fare una scelta precisa: non eleggere coloro che non credono nella scienza. Sarebbe un primo passo utile.

Ma andiamo oltre. Dovremmo, infatti, percorrere la stessa strada in ogni campo che sia in qualche modo  legato alla scienza; dunque, anche nell’approccio all’uso della plastica e di ogni altro materiale, all’uso degli animali, che dalle foreste ai mercati al mondo possono portare virus ignoti al nostro sistema immunitario, all’uso delle biotecnologie, al cambiamento climatico, il problema globale più rischioso.

C’è ancora molto da sapere sui legami fra le attività umane, gli equilibri naturali, la rete della vita sulla Terra, e lo sviluppo delle conoscenze scientifiche in proposito è particolarmente importante, anche al fine di impostare politiche adeguate a proteggerci dalle crisi climatiche e a limitare il cambiamento stesso.

Sul sito del CMCC si può, inoltre, vedere un video molto chiaro sulla variazione della copertura ghiacciata sull’Antartide negli ultimi 25 anni. Pur considerando le variazioni stagionali, la riduzione è nettissima. Si diceva della necessaria descrizione intuitiva: questa lo è, chiarendo il problema più di molte parole.


L’indirizzo del sito web è il seguente:


https://www.climateforesight.eu


Il video, reperibile sul sito medesimo, si può vedere sul canale YouTube:


https://m.youtube.com/watch?feature=emb_title&v=_C2EeptHCY8




domenica 13 settembre 2020

All’idrogeno, e al nostro Paese, può spettare un ruolo importante, purché ben programmato

 Diventare nel 2050 il primo continente climate neutral al mondo: una sfida impegnativa, quella lanciata dall’Europa, che dovrà essere studiata e progettata adeguatamente in ogni dettaglio. La maggiore sfida dei nostri tempi, quella da cui maggiormente dipende il nostro futuro, anche se certo non l’unica. 

Uno dei fili più interessanti della rete che deve comporre la trama fatta di ricerca-tecnologia-industria-energia necessaria a raggiungere l’obiettivo è costituito dall’idrogeno. L’idrogeno è un vettore energetico (quindi non è una fonte di energia) che nella combustione con adeguate tecnologie non produce carbonio, non impatta cioè sulla composizione atmosferica con sostanze che vanno ad alterare i parametri climatici. La produzione dello stesso, però, deve essere verde per avere impatto zero, provenire cioè da fonti rinnovabili o più in generale, come si dice, deve trattarsi di idrogeno a basse emissioni di carbonio (low carbon hydrogen). 

Lo scorso 8 luglio 2020, l’Europa ha lanciato la sua strategia sull’idrogeno, con un primo convegno di nascita della European Clean Hydrogen Alliance (Alleanza Europea per l’Idrogeno Pulito), costituita da stakeholder pubblici, privati, della società civile. Si legge sul sito (gli indirizzi web citati nel’’articolo sono tutti in calce) che lo scopo consiste in un’ambiziosa diffusione delle tecnologie per l’idrogeno, rinnovabile o a basse emissioni di carbonio, al 2030, unendo la produzione, la domanda e la trasmissione e distribuzione. Con l’Alliance, l’Unione Europea intende costruire per sé un ruolo di leadership globale in questo ambito, a supporto dell’impegno di raggiungere la neutralità climatica al 2050. La partenza sarà immediata al fine di essere in grado di fornire 1 milione di tonnellate di idrogeno verde già nel 2024, e 10 milioni di tonnellate al 2030.


Numerosi commentatori hanno rilevato che il nostro Paese potrebbe avere un ruolo di rilievo in questa sfida, e uno studio propone scenari avveniristici. L’Italia potrebbe diventare un hub di un combustibile pulito centrale per l’Europa importando idrogeno prodotto dagli impianti solari del Nord Africa, con un risparmio del 10-15% rispetto a una produzione locale. Il nostro Paese possiede una capillare infrastruttura per il trasporto del gas storicamente costituita che la collega al reto d’Europa e al Nord Africa, che apre a nuove possibilità di utilizzo.  La ricerca che esamina tale prospettiva è stata condotta da The European House-Ambrosetti in collaborazione con SNAM, ed è stata presentata nel corso del 46° Forum The European House-Ambrosetti, a Cernobbio: “H2 Italy 2050: una filiera nazionale dell’idrogeno per la crescita e la decarbonizzazione dell’Italia”. Sul sito si può scaricare l’intero studio, e fare riferimento ad una chiara tabella denominata “Filo Logico”, molto interessante. L’apporto allo sviluppo sostenibile sarebbe notevole: nuovi ambiti di sviluppo industriale verde, occupazione, contributo consistente alla lotta al cambiamento climatico.

Al 2050 la ricerca stima una penetrazione potenziale del 23% dell’idrogeno nei consumi finali, che può permettere un taglio nelle emissioni di CO2 del 28% rispetto all’anno base 2018.


Un articolo del Sole24ore del 13 agosto scorso descrive altre vie in proposito. Si legge che “Fare della produzione di idrogeno da fonti rinnovabili e del suo utilizzo il vettore di sviluppo delle regioni dell’area del cratere sismico del 2016 e 2017: il progetto di Aecom (multinazionale dell’engineering con base a Los Angeles, 20,2 miliardi di dollari fatturati nel 2019 e 57 mila addetti nel mondo) è nelle mani della Presidenza del Consiglio, dopo la positiva presentazione ai Ministri Patuanelli e De Micheli e sarà presto oggetto di uno studio di fattibilità”.

Si parla cioè di realizzare un polo dell’idrogeno in una delle zone in crisi a causa del sisma dell’Appennino centrale. Si tratterebbe di produzione di idrogeno verde effettuata in loco, incluse le tecnologie per le celle a combustibile. La strategia includerebbe i trasporti, con la sperimentazione dei primi treni a idrogeno in Italia. In sostanza, un piano per l’idrogeno nelle zone colpite dal terremoto a tutto tondo, produzione e utilizzo, accanto ad una ricostruzione dei centri abitati sul modello delle comunità energetiche. 


Si tratta di prospettive che devono diventare concrete, a condizione che vadano inserite in una strategia complessiva e coerente. Abbiamo vissuto nel passato altre esperienze che dovrebbero averci insegnato molte cose: dalla diffusione delle rinnovabili sul territorio in assenza dei Decreti attuativi (arrivati 7 anni dopo), all’impegno finanziario sul fotovoltaico senza investire sulla produzione industriale dei pannelli, o di altre componenti, alle difficoltà evidenti nel coinvolgere la cittadinanza nella transizione energetica. 

L’energia splittata fra i vari Ministeri viene ampiamente penalizzata, mentre si tratta di un tema centrale per lo sviluppo dell’Italia. Qualcuno ricorderà l’importanza che ha avuto la strategia energetica nello sviluppo del nostro Paese nel dopoguerra; ora deve essere più o meno lo stesso, nel quadro di una prospettiva nuova che include la tutela dell’ambente. Con la differenza che oggi ci troviamo fortunatamente nell’Unione Europea e possiamo interagire in modi e con tempi ben diversi da allora.


L’articolo del Sole24ore:

“Parte dal Centro Italia un maxi piano per l’idrogeno”, 13/8/2020, a firma di Michele Romano.


I siti dell’European Clean Hydrogen Alliance:


https://ec.europa.eu/growth/industry/policy/european-clean-hydrogen-alliance_en


https://hydrogeneurope.eu/events/european-clean-hydrogen-alliance-launch-event


Lo studio Ambrosetti:


https://www.ambrosetti.eu/ricerche-e-presentazioni/h2-italy-2050-una-filiera-nazionale-dellidrogeno-per-la-crescita-e-la-decarbonizzazione-dellitalia/









venerdì 21 agosto 2020

Per salvarci dalla crisi climatica non serve fermare tutto e tornare alla candela, ma impegnarci seriamente con politiche green

Quante volte abbiamo sentito la frase “ma allora, secondo le tesi ambientaliste dovremmo fermare tutto e tornare indietro ai tempi passati”, quante volte il suo contenuto è stato lo spauracchio di coloro che governavano e della politica in genere. La tesi del ritorno indietro in realtà esiste, ma non può essere considerata logica ed unica conseguenza della necessità di proteggere l’ambiente. Anzi, secondo chi scrive si tratta di un’opzione che porterebbe ad esiti contrari a quelli che si vorrebbe ottenere con la sua applicazione: sette miliardi di persone che vivessero ricorrendo alle risorse naturali in modo diretto avrebbero un impatto ambientale distruttivo in un tempo brevissimo. La questione ambientale è complessa - nel senso della teoria della complessità - ed evolutiva: l’ambiente che caratterizza oggi il pianeta Terra non è lo stesso del passato, l’equilibrio preistorico è irraggiungibile e coloro che lo sognano fanno un puro esercizio di fantasia, e l’unica via che abbiamo la possibilità di seguire è quella tecnologica. Sarà un insieme costituito da una corretta applicazione delle tecnologie nuove, di politiche adeguate, di riduzione delle diseguaglianze sociali con conseguente possibilità di accesso per tutti alle tecnologie medesime, la chiave per aprire la porta del futuro. Il futuro non sarà, e non dovrà mai essere, simile al passato (il caso contrario, sarebbe una catastrofe planetaria). 

Una ricerca pubblicata su Nature Climate Change esamina l’effetto sulle tendenze globali dei parametri che caratterizzano il cambiamento climatico della chiusura dovuta all’epidemia denominata Covid-19. Nella tragedia costituita da una nuova malattia virale che per molti risulta essere mortale, abbiamo un’occasione d’oro di studio di un fatto senza precedenti: per mesi tutto il mondo ha fermato quasi completamente le attività, viaggi, spostamenti ridotti al minimo per le merci, fabbriche, aziende, impianti industriali, scuole, negozi e botteghe, feste, sagre, cinematografi, teatri, eventi sportivi, ogni tipo di attività escluso l’essenziale. La necessità di fermare il contagio per quanto possibile e la migliore capacità di organizzazione che indubbiamente oggi abbiamo rispetto a momenti nel passato che hanno visto epidemie simili hanno portato ad una condizione collettiva mondiale mai accaduta prima. Il mondo umano si è fermato per un po’. Verificare se questo fatto porti a conseguenze di intensità significative sullo stato dell’ambiente a livello globale presenta vari motivi di interesse in vista della scelta delle strategie da adottare per scongiurare la crisi climatica: innanzitutto la possibilità di diminuire gli apporti degli inquinanti emessi, poi una sorta di esperimento collettivo (forzato) direttamente misurabile. 

Lo studio in oggetto, dal titolo  “Current and future global climate impacts resulting from COVID-19” (“Impatti sul clima globale correnti e futuri risultanti dal Covid-19”, scaricabile all’indirizzo in calce) esamina le conseguenze della riduzione dei gas ad effetto serra e degli altri inquinanti dell’aria dovuta al lockdown sulle tendenze abituali e stima l’entità delle riduzioni nel periodo da febbraio a giungo 2020. Alcuni composti con effetto riscaldante, come gli NOx (ossidi di azoto), calano del 30%, ma la diminuzione viene compensata da un’analoga diminuzione degli ossidi di zolfo che indeboliscono la capacità degli aerosol di raffreddare l’atmosfera. Il clima è un sistema complesso, con decine di variabili ad effetti diversi, e spesso di segno opposto, legate tra loro, con cicli di vita diversi ed effetti indiretti, e i risultati non sono per nulla facili da trovare, tanto che si usano modelli matematici per simulare gli andamenti dei parametri più importanti. Questi modelli matematici hanno comunque dimostrato da tempo la loro affidabilità. In buona sintesi, lo studio in oggetto sostiene che gli effetti della chiusura globale dovuta alla pandemia da Covid-19 sulla temperatura media globale siano trascurabili: un raffreddamento valutato intorno al centesimo di grado Celsius al 2030, quasi niente.  Spingendosi poi ad analizzare percorsi diversi, emerge che se scegliessimo di stimolare l’economia in senso “verde” e in misura definita “moderata” potremmo arrivare ad emissioni zero per il 2060, mentre se optassimo per un investimento maggiore, ma comunque fattibile, nell’economia verde potremmo raggiungere una diminuzione del 50% delle emissioni climalteranti al 2030 rispetto allo scenario base ed emissioni zero al 2050. La differenza principale fra le ultime due opzioni riguarda il fatto che la seconda, la più performante, consentirebbe con una probabilità superiore al 50% di limitare la crescita della temperatura a +1,5°C, ovvero di attuare la scelta più restrittiva raccomandata nell’Accordo di Parigi del 2015. Tradotto in termini semplici: possiamo farcela, ma occorre una ripresa fortemente orientata all’innovazione a basso impatto ambientale, con un impegno collettivo che includa i Paesi più poveri e i Paesi più ricchi e potenti, come gli Stati Uniti. Come la pandemia di Covid-19 la crisi climatica riguarda tutti, nessuno escluso.

La Natura che occupava nuovamente spazi durante la chiusura forzata di quasi tutte le attività umane ci ha mostrato, per un tempo breve, quale sorta di impatto abbiamo noi sul mondo. L’eccezionalità del caso ci ha portato per un attimo a vedere chi siamo noi sulla Terra, come la prima foto della Terra dallo spazio ci portò a vedere di colpo quanto piccolo, limitato e isolato fosse il nostro mondo. La possibilità di ridurre le conseguenze delle attività umane sui sistemi naturali, ed in particolare di contenere quanto possibile il riscaldamento globale, viene oramai mostrata e descritta da una serie di studi scientifici molto chiari circa le scelte da fare. In poche parole, non sarà un ritorno al passato, non sarà una chiusura delle attività, a salvarci, ma una scelta precisa delle politiche da porre in atto.

La pubblicazione scientifica citata può essere scaricata al seguente indirizzo (in inglese):

https://www.nature.com/articles/s41558-020-0883-0.pdf




giovedì 6 agosto 2020

6 agosto 1945 Hiroshima, tre giorni dopo, Nagasaki

Una mattina di agosto come tante, in una città ovviamente abitata da civili in tempo di guerra, una guerra con episodi di violenza e distruzione mai visti. Certo, aveva anche i suoi bersagli militari, ma si dice che venne scelta perché ancora integra, non colpita dai bombardamenti. Una mattina di 75 anni fa, il 6 agosto 1945, alle ore otto e un quarto, sul cielo della città giapponese di Hiroshima si aprono le porte dell’inferno.
A circa 600 metri di altezza esplode un ordigno con la potenza di oltre 13.000 tonnellate di tritolo, la colonna di fumo e polveri generata si innalza in breve tempo fino a 17.000 metri di altezza, l’onda d’urto solleva interi edifici dal suolo come fossero foglie d’autunno spazzate dal vento, il calore di centinaia di migliaia di gradi scioglie le cose, letteralmente dissolve le persone, polverizza tutto quanto si trova intorno, un vento rovente spazza ciò che resta. Poco tempo dopo, una pioggia nera e viscida cade al suolo, portando con sè una pletora di elementi radioattivi che vanno a fissarsi nel terreno, nell’acqua, sopra ogni cosa. Il fall out radioattivo. 
Gli elementi radioattivi: di certo non erano fra i pensieri di uomini, donne, e bambini quella mattina di agosto in un città qualsiasi del Giappone. Scoperta dal fisico francese Henry Bequerel, e dai coniugi Pierre e Marie Curie, alla fine del diciannovesimo secolo, la radioattività diventa presto uno dei campi di studio della fisica più interessanti, anche se il percorso da lì alla fissione dell’uranio è abbastanza complesso. Alcuni minerali mostravano la proprietà di impressionare le lastre fotografiche  che, una volta sviluppate, presentavano delle zone scure. Il fenomeno accadeva anche al buio. Alcuni elementi, come l’uranio, il polonio, il radio, producono infatti emissioni di radiazioni (fotoni o particelle) in modo del tutto naturale a causa dell’instabilità del nucleo del loro atomo.  La trasformazione di un atomo radioattivo in un altro atomo viene denominata decadimento radioattivo, e può avvenire in tempi molto diversi, il “tempo medio” può essere di una frazione di secondo o di miliardi di anni.
Ebbene, la radioattività è fortemente nociva per l’uomo e per gli altri esseri viventi, per l’ambiente in generale; lo è anche quella che si riscontra in natura. Provocarla e diffonderla è un atto criminale. Ciascuno può naturalmente elaborare il proprio giudizio sull’uso bellico delle armi nucleari; nel caso in questione, il Giappone venne costretto alla resa con il bombardamento atomico di Hiroshima, e tre giorni dopo, di Nagasaki, due città abitate. Si stimano 80.000 morti immediate, a cui seguirono 60.000 morti in breve tempo per le conseguenze sanitarie dell’esplosione, e molte altre migliaia nel corso degli anni, a causa dell’inquinamento radioattivo. Soltanto ad Hiroshima. A Nagasaki si stimano altre 80.000 vittime. E’ impossibile una stima definitiva, dato che le radiazioni continuano nel tempo a far ammalare le persone e le conseguenze possono durare anche molto a lungo. Le bombe furono sganciate per decisione del Presidente Truman, da poco succeduto a Roosevelt, al fine di determinare la resa del Giappone. Gli Stati Uniti sono ad oggi l’unico Paese ad aver fatto ricorso alle armi atomiche durante una guerra. 
Una recente ricerca descrive il ritrovamento nei tessuti di crostacei di carbonio 14, radioattivo, a livelli tali da mostrarne l’origine nella detonazione di bombe nucleari. Dove? Nei fondali della Fossa delle Marianne, il luogo più profondo dei mari terrestri, 11.000 metri sotto la superficie, situata nel Pacifico tra il Giappone e la Nuova Guinea. Possiamo ora affermare che non soltanto l’inquinamento generato dall’uomo ha raggiunto ogni angolo della Terra, poli compresi, ma anche la violenza, l’orrore, volutamente attuati dall’uomo hanno raggiunto ogni dove, inclusa la profondità oceanica e i gamberetti che vivono laggiù.
Negli anni ‘50, ‘60 e ‘70 era normale una quota di radioattività nell’aria (che non si è mai del tutto spenta) dovuta ai test nucleari effettuati in atmosfera. Il deserto dell’Ovest degli Stati Uniti, alcune zone del Kazakistan e Novaja Zemlja per l’allora URSS, gli atolli (!) francesi nel Pacifico sono stati teatro delle prove delle armi più distruttive mai create. Poi, si è passati ai test sotterranei. In totale, quante volte? Più di duemila volte.  A cosa servono? A distruggerci, appunto. 
Dopo la terribile esperienza di Hiroshima e Nagasaki non si è certo pensato di smettere: al contrario, sono state costruite nel corso degli anni decine di migliaia fra bombe o testate missilistiche nucleari, tutte più potenti delle prime, sono state prodotte migliaia di tonnellate di uranio arricchito e plutonio, e gli Stati che ambiscono a possedere le armi più distruttive di sempre non hanno mai cambiato orientamento. Ai Paesi che ufficialmente possiedono armi nucleari, USA, ex-URSS, Cina, Francia, Regno Unito, si sono aggiunti Israele, India, Pakistan, e forse Corea del Nord.  Sono stati siglati degli accordi di riduzione delle armi atomiche fra USA e URSS, ora Russia, ma gli arsenali odierni sono più che sufficienti a farci sparire dalla faccia della Terra, con tutto ciò che ci sta intorno.

Molte di queste considerazioni sono già state fatte, più volte nel tempo. Ma non è inutile ripeterle, perché sulle nuove generazioni pesa un fardello di cui troppo spesso non sono consapevoli. Il dibattito sul nucleare segue andamenti oscillanti, a volte accende l’attenzione, poi per lunghi periodi scompare dai radar, a parte le celebrazioni ogni anno dell’attacco nucleare al Giappone al termine della Seconda Guerra Mondiale. Ci stringiamo alle vittime ed alle loro famiglie, ai superstiti. E non dimentichiamo la minaccia a cui siamo continuamente esposti. 

Per saperne di più, e per seguire il tema, il Bulletin of the Atomic Scientists (in inglese) è il punto di riferimento più autorevole. L’indirizzo web è il seguente:


mercoledì 29 luglio 2020

Ghiacciaio con telo

Forse è davvero il caso di esclamare “come ci siamo ridotti” osservando l’immagine riportata sotto (con notizia tratta dal canale ANSA Ambiente ed Energia): un ghiacciaio alpino ricoperto di appositi teli per evitarne lo scioglimento. Forse questi saranno i ghiacciai del futuro, forse sarebbe bene  progettare sistemi idonei a prevenire i roghi delle foreste, lo scioglimento del permafrost in Siberia, le fuoriuscite di metano... 


Il più vecchio ghiacciaio delle Alpi, il ghiacciaio di Rhone in Svizzera, è stato ricoperto per metri e metri con speciali teloni atti a prevenirne lo scioglimento. Non si tratta del primo esperimento: enormi teli ricoprono il ghiacciaio Presena, ad esempio, tra Val Camonica e Val di Sole. I teli permettono di evitare la fusione ed il ritiro del ghiacciaio, attualmente causata dal riscaldamento globale dell’atmosfera. 

Negli ultimi trent’anni sono scomparsi circa duecento ghiacciai sulle Alpi, e quelli rimasti presentano evidenti riduzioni nell’estensione, nello spessore, e nella consistenza. In altri luoghi della Terra le cose non vanno meglio. Nel numero di luglio di National Geographic Italia viene descritta l’emergenza che riguarda l’acqua nelle zone che dipendono dai fiumi generati dai ghiacciai dell’Himalaya. 

Nei territori di alta quota himalayani la popolazione si attrezza come può: costruendo riserve di ghiaccio artigianali. Enormi coni di ghiaccio, fino a trenta metri di altezza, caratterizzano il paesaggio del Ladakh, e sono capaci di immagazzinare milioni di litri di acqua allo scopo di irrigare i campi dei villaggi vicini. 

Il fiume Indo, uno dei più grandi fiumi della Terra, ha le sue origini nei ghiacciai e nevai himalayani, che immagazzinano acqua d’inverno e la cedono in primavera ed estate, durante il disgelo. Esso sostenta 270 milioni di persone, grandi città e sistemi agricoli, ma il suo flusso è destinato a variare in modalità che influiranno notevolmente. Si prevede un incremento da oggi al 2050, seguito da una diminuzione costante dopo quella data. Già oggi le inondazioni seguite da siccità stanno cambiando il rapporto delle popolazioni locali con il grande fiume, e la geopolitica del territorio non può che esserne influenzata, inasprendo le tensioni fra i Paesi interessati alla disponibilità idrica. Fra questi, Cina, India e Pakistan sono dotati di arsenali nucleari. 

Le sfide che il cambiamento climatico, causato dalle continue emissioni di CO2 ed altri gas climalteranti in atmosfera, ci pone davanti sono varie e spesso collegate fra loro a formare lunghe catene che portano lontano, ben oltre il nostro rapporto con l’ambiente. Sono le nostre società, non l’ambiente Inteso come qualcosa di estraneo a noi e alle nostre vite (chiaramente un’interpretazione errata), quelle più colpite e destinate a cambiare, intraprendendo spostamenti verso lidi non ancora del tutto delineati con chiarezza.  

Intanto, questa immagine rappresenta bene uno spicchio del nostro futuro. Guardiamola con attenzione, perché ciò che proietta va ben oltre una vetta alpina con teli in vista.

L'immagine e la notizia si trovano al seguente indirizzo:

https://www.ansa.it/canale_ambiente/notizie/natura/2020/07/18/ansasu-piu-antico-ghiacciaio-alpi-teli-bianchi-anti-fusione_f61c5ba5-1d81-4e18-a9e1-b7fd853981a2.html



mercoledì 15 luglio 2020

La lista nera della finanza verde

Anche la finanza si accorge dei problemi ambientali, e a dire il vero, non da oggi. 
BlackRock è la più grande società di investimento nel mondo, con sede a New York, una società di gestione del risparmio “il cui scopo principale è affiancare un numero sempre maggiore di persone nella pianificazione del loro futuro finanziario” come si legge sul suo sito. Essa gestisce un fondo di oltre 6 mila e 500 miliardi di dollari e la sua rilevanza a livello internazionale è ben nota. 
E’ notizia di ieri che BlackRock ha individuato ben 244 aziende «che stanno compiendo progressi insufficienti nell’integrare il rischio climatico nei rispettivi business model e informative». Non solo: ha votato contro nelle assemblee di 53 società e per le restanti 191 ha «notificato lo stato di sorveglianza e il rischio di un'attività di voto nei confronti del management, nel 2021, qualora non compiano progressi sostanziali». Si legge in un articolo sul Sole24ore (all’indirizzo in calce) che “quella di BlackRock è una questione di business. «Il nostro impegno – si legge nel report – nasce dalla convinzione che il rischio climatico sia parte del rischio investimento, e che integrare fattori come sostenibilità e clima nei portafogli possa fornire agli investitori rendimenti migliori rettificati per il rischio». 
La finanza si accorge dell’ambiente, ed ora lo fa in modo plateale. Si può leggere la lista nera delle 53 società accusate di mancanza di iniziative adeguate al problema climatico suo medesimo articolo. Non c’è dubbio che il rischio climatico sia una parte notevole del rischio associato all’investimento, ed ora ne va tenuto debito conto.
A dire il vero, il fondo di investimento è stato nel passato, anche recente, accusato da parte ambientalista di investire in ambiti nocivi allo stato dell’ambiente, e questa potrebbe essere una risposta alle critiche. In ogni caso, si tratta di una risposta positiva, un ulteriore tassello nella realizzazione del mosaico del nostro futuro, che dovrà essere sostenibile semplicemente per esistere.   

In un altro bell’articolo pubblicato dal Sole il mese scorso (“Finanza e ambiente: perché la crisi sanitaria può essere un’occasione”) si descrive ancora una volta l’opportunità nascosta dietro la crisi, davvero drammatica, dovuta al Covid19: possiamo uscirne, e farlo affrontando come si deve la crisi più grande di tutte, quella che include tutte le altre, quella ambientale e climatica.
Si legge che Recovery Fund e Green New Deal, due programmi europei molto complessi, devono essere iniziative coordinate se vogliamo costruire il futuro dell’Europa. 
Una transizione verso la sostenibilità che non deve essere più una scelta - sì o no - dato che il sì è imprescindibile, ma un momento in cui ci si concentra su come farla. Il “come” è importantissimo per trovare risposte operative e concrete in un ambito in cui le parole certo non bastano (e sono state usate troppo spesso in sostituzione dei fatti). 
Nell’articolo, a firma di Angelo Baglioni, si legge inoltre che “ Il mercato degli investimenti finanziari sostenibili è in forte espansione da alcuni anni in tutto il mondo, e l’Europa è leader in questo settore”, ma che non mancano gli ostacoli, come un quadro di regole ancora incerto. Emerge comunque un’Europa molto impegnata in questo ambito, che guida il mondo e lo fa da anni, nonostante le notevoli difficoltà insite in una sfida nuova e globale. 
Abbiamo bisogno di una conversione ambientale dell’economia; in essa, la finanza verde ha un ruolo fondamentale, anche con l’attenzione della pubblica opinione che ha un’inaspettata influenza sulle scelte.

Gli articoli citati:

https://www.ilsole24ore.com/art/clima-blackrock-compila-lista-nera-bocciati-244-colossi-ADjW39d?refresh_ce=1

https://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-ambiente-perche-crisi-sanitaria-puo-essere-un-occasione-AD2o6jV


giovedì 9 luglio 2020

Berlusconi? No, grazie

Si legge su Repubblica: “Parole che spiazzano, quelle pronunciate da Romano Prodi a Repubblica delle idee. Un'apertura nei confronti dello storico avversario politico, Silvio Berlusconi ("Non è certo un tabù l'ingresso di Forza Italia in maggioranza". E poi "La vecchiaia porta saggezza", riferita al leader azzurro)”. L’articolo prosegue con alcuni commenti e si può leggere all’indirizzo in calce.
Da iscritta al Partito Democratico esprimo subito il mio parere: no, grazie. E spero che siano molti gli iscritti che la pensano allo stesso modo. 
Le ragioni sono innumerevoli, e mi sento a disagio persino nel pensare ora a come enumerarle. Alla base di tutte si trova una distanza siderale nei contenuti, nel metodo, nei modi, una storia divisiva nei confronti della parte progressista che chi ha memoria ricorda bene. Solo alcune. Berlusconi è stato già quasi trent’anni fa legittimato come interlocutore all’inizio della sua attività politica dalla sinistra di allora, a cui rispose facendo fallire le principali iniziative comuni, e grazie alla quale è stato artefice di un profondo cambiamento nella società italiana che ha aperto le porte a quello che definiamo populismo, e in questo senso è il padre di Salvini, si è espresso più volte in modo indulgente verso l’evasione fiscale, e favorevolmente al condono edilizio, o alla flat tax che penalizza i redditi bassi e con grande probabilità è incostituzionale, concentra il suo potere in Lombardia dove la sanità è stata in gran parte privatizzata ed è carente di presidi sul territorio, e regolarmente quando sembra politicamente defunto arrivano gli esponenti di primo piano del centrosinistra a resuscitarlo. Francamente, a noi non manca.
E non è finita: una probabile ragione per cui “la vecchiaia porta saggezza” potrebbe riguardare l’aspirazione di Berlusconi a diventare Presidente della Repubblica, o Senatore a vita, posizioni di grandissimo prestigio.  Spero, ancora una volta, senza l’aiuto dei dirigenti ed autorevoli esponenti del centrosinistra italiano. 
Propongo di sondare se e quanto gli iscritti al PD, ed alle altre formazioni politiche della maggioranza, siano favorevoli. Per quanto mi riguarda, esprimo il mio parere: no, netto.

L’articolo citato:
https://www.repubblica.it/politica/2020/07/09/news/prodi_berlusconi_governo_pd-261401918/


mercoledì 1 luglio 2020

Ecologia di governo

Complimenti e congratulazioni ad Anne Hidalgo, socialista con una forte propensione ecologista,  per la sua ri-elezione a Sindaco di Parigi. Non è cosa da poco, guidare Parigi, una città dove le dimensioni fanno la differenza, moltiplicando numericamente ogni problema che affligga tipicamente una grande città. Qualcosa si muove sul fronte occidentale, a partire dal Presidente USA Trump in forte calo di consenso nei sondaggi (con cautela, per quanto valgano i sondaggi), per finire con il Re Filippo del Belgio che chiede scusa per la violenza e le sofferenze inflitte al Congo nel periodo coloniale. Può sembrare un inutile dettaglio, ma non lo è. Si inserisce nell’orientamento che sta diffondendosi anti-colonialista ed anti-razzista, tendente a rivedere con una sensibilità diversa, nuova, i fatti della Storia, a partire da molti leaders del passato e molte esaltazioni imperialiste. 

Anne Hidalgo ha fatto moltissime cose nella capitale francese, anche nell’aspetto ambientale. Ma non è facile essere concreti in quel fronte. In questi mesi si sta consumando in Emilia Romagna un confronto che sta assumendo toni aspri fra il governo regionale e le associazioni ambientaliste riguardo il progetto di eolico off-shore nel mare di Rimini: la Regione è contraria e gli ambientalisti sono a favore. Superando il periodo - lungo - durante il quale ambientalisti e politica si fronteggiavano sulle sponde opposte della difesa dell’ambiente e dello sviluppo fossile tradizionale, ora siamo tutti oltre il fiume sulla stessa ampia area dello sviluppo sostenibile, verde, rinnovabile, pulito quanto possibile. Il confronto avviene sul “come” farlo concretamente. E l’eolico è uno di quei casi che può portare a pareri diversi, o addirittura opposti. Gli aerogeneratori producono energia pulita con alcune condizioni di base ovvie, come la presenza di vento, ma sono ingombranti, ben visibili nel paesaggio, con un certo impatto nella fase di costruzione. Pongono qualche problema in più rispetto al solare, per esempio, sicuramente la fonte rinnovabile migliore sotto tutti gli aspetti. In sostanza, la decisione di costruire un parco eolico o meno dovrebbe riguardare ciascun caso a sé, in un’analisi costi-benefici all inclusive. No alle ideologizzazioni del tema, da una parte o dall’altra. 
Quindi, nel caso dell’eolico nel mare della Romagna, come in ogni altro caso analogo,  ci si augura che si entri nel merito in modo specifico, analizzando progetto e condizioni esterne, ed evitando lo scontro aperto, del tutto inutile.

Anche in Trentino speriamo che si superino le ideologie, fra i favorevoli agli abbattimenti degli orsi, e i contrari che arrivano a suggerire il boicottaggio vacanziero del Trentino stesso.
Partiamo dall’inizio: gli orsi c’erano, sulle Alpi, come c’erano i lupi, le linci, i gipeti, gli stambecchi, e persino i castori. Non si tratta di fauna dell’Alaska, come molti credono, ma anche nostrana. Come mai non c’è più, o è stata ridotta a piccoli nuclei miracolosamente salvatisi, come nel caso degli stambecchi?
Perchè è stata cacciata, per non dire perseguitata, dai nostri avi per secoli. I secoli delle grandi cacce, ma anche i secoli dell’attacco alla fauna selvatica degli abitanti del luogo, i secoli dei premi a coloro che uccidevano il maggior numero di lupi, delle trappole, delle pelli, delle teste-trofeo appese al muro. 
Ora, i lupi sono tornati, e sono i nostri lupi, giunti fino alle Alpi dagli Appennini, dove un nucleo era rimasto fino alla legge di tutela fortemente promossa dalle associazioni ambientaliste. (E’ bello leggere un cartello su un sentiero ad Innsbruck (Austria) che sono tornati i lupi anche lì, arrivati dall’Italia e grazie alla nostra normativa di tutela).
E sono tornati anche gli orsi, grazie al progetto europeo Life Ursus: un tentativo di ripopolamento andato a buon fine, dopo gli insuccessi degli anni ‘60 del novecento. Provengono dalla vicina Slovenia, visto che i nostri erano stati completamente sterminati nel passato. Ora, reintrodurre una popolazione di orsi con un progetto scientifico e poi ucciderli al primo contatto con gli umani non è certo una prospettiva accettabile. Se non si vogliono gli orsi, piuttosto non si faccia il progetto. Perchè è chiaro che non si tratta di peluche, ma di orsi in carne ed ossa. Ad oggi, non sembra che l’amministrazione del Trentino abbia trovato la via per una corretta gestione, viste le ordinanze di cattura o di abbattimento firmate come se niente fosse ad ogni piè sospinto dal Presidente della Provincia. A fronte di una significativa presenza di animali potenzialmente pericolosi va portata avanti un’azione intensa di informazione e cultura in materia a tutti gli abitanti e i i villeggianti di quelle zone. Non si può lasciare nulla al caso, nulla di improvvisato. Anche perchè ci sono altre regioni che hanno gli orsi, come l’Abruzzo. Orsi marsicani, del posto, che vivono lì da sempre e non sembra succedere niente di pericoloso. Come fa l’Abruzzo a gestire i suoi orsi?  
Forse una migliore comunicazione fra le due regioni sarebbe utile. 
Dulcis in fundo, sono tornati persino gli sciacalli, e i castori, o meglio, un castoro.  Il Friuli Venezia Giulia è il territorio. Gli sciacalli dorati provengono dall’Est, il castoro dall’Austria e si è insediato nella Foresta di Tarvisio, un corridoio faunistico eccezionale. Speriamo che arrivi presto anche una castora e che mettano su famiglia...
I castori mancano dall’Italia addirittura da quattro secoli. Anche in questo caso, non erano andati in vacanza, mancano perché venivano cacciati per le pelli, e lo sono stati fino all’ultimo esemplare. E’ questo ciò che vogliamo fare della Natura? 
Bene, ora che questi splendidi animali sono tornati abbiamo una seconda possibilità. Costruire una via di sviluppo dove reciprocità e sostenibilità sul piano ambientale, rispetto delle specie animali e degli equilibri della Natura, siano i pilastri, oppure rifare gli errori del passato. 
“Ecologia” deve declinarsi con “governo”, non può più restare sulla carta stampata, sui documentari, negli interventi pubblici. E siamo noi, questa generazione, ad avere la responsabilità della decisione.



mercoledì 24 giugno 2020

Attacco al PD (dal suo interno, naturalmente)

Chiaro che per affrontare la crisi che stiamo vivendo e mettere in campo soluzioni occorre almeno una condizione politica stabile. Questo in soldoni significa che il governo va sostenuto affinché prosegua nel suo lavoro. Può sembrare un’affermazione di comodo e di parte, ma sfido chiunque a dimostrare che una strada diversa sia opportuna in questo momento.
Uno dei partiti della maggioranza è il Partito Democratico, che certo non brilla per compattezza. Ma questo si sapeva. Dall’essere un “partito plurale” a candidarsi per mandare all’aria ciò che si sta facendo fra mille difficoltà, però, ce ne corre.  E Giorgio Gori, Sindaco di Bergamo, sta facendo proprio questo: in una serie di interventi pubblicati sui principali quotidiani attacca Nicola Zingaretti e la dirigenza del partito, chiedendo un congresso prima possibile per riuscire a cambiare Segretario e dirigenti altrimenti sarà troppo tardi e non si riuscirà a “salvare il Paese”. La tempistica è velocissima: addirittura entro l’autunno. Nel merito, Gori ritiene che occorra far crescere l’Italia di almeno l’1,5% all’anno, e che il baricentro del PD sia stato “spostato sulla protezione sociale” dall’accordo con il Movimento 5 Stelle. In sostanza, servirebbe un altro PD, più vicino alle idee di Gori.
 
Su questo blog mio personale sono abituata a scrivere il mio parere in modo netto; del PD sono solo un’iscritta ma sono convinta che l’opinione anche dell’ultimo degli iscritti valga tanto quanto quella del Sindaco di Bergamo, o di altra città, o di qualsiasi altro esponente di primo piano del partito, e la mia è questa: sul piano politico, l’intervento di Gori è quanto di più inopportuno possa capitare in questo momento, sul piano personale, l’ennesimo attacco a mezzo stampa stancherebbe qualsiasi santo iscritto o simpatizzante del PD al punto da rasentare l’insopportabilità. Propongo in proposito una medaglia a tutti i militanti che sopportano stoicamente per anni gli scontri fra i vari gruppi di potere del partito. 
Stando alle sue parole, Giorgio Gori ritiene evidentemente che con la dirigenza attuale sia impossibile far crescere il nostro Paese di 1,5% all’anno e che occorra spostarsi in senso opposto rispetto alla protezione sociale. Persone diverse e meno protezione sociale: sembrerebbe un tentativo di far virare a destra il PD. Ma il PD virerà a destra se il percorso congressuale andrà in quella direzione, a tempo debito, secondo le regole che il partito si è dato. Non perché un Sindaco, per quanto autorevole possa essere, pensa che sia questa la strada utile. Il rispetto delle regole dovrebbe essere la guida, ma sappiamo che la politica è fluida e si può concepire legittimamente il fatto che esse possano essere superate da necessità gravi, istanze inderogabili, problemi seri, in sostanza per il bene della società. Quello che si presenta ora, però, è il caso opposto: come si possa pensare che in mezzo alla crisi peggiore, causata da un evento esterno che si è innestato in una situazione già difficile, sia utile andare ad un congresso di un grande partito della maggioranza “entro l’autunno” è incomprensibile. In aggiunta, risulta difficile capire come si possa suggerire che in una condizione di estrema difficoltà sociale sia bene orientarsi verso minori tutele: i bisogni delle persone sono reali ed immediati.       
Anche lo sviluppo (sostenibile) lo è: per questo il governo ha passato una settimana a Villa Pamphili, per incontrare tutti e decidere cosa fare in un momento delicato, quale strategia costruire. Dopodiché il passaggio all’atto pratico sarà cruciale (ne abbiamo scritto nel post precedente), ma non si può pensare che si facciano le cose di proposito per far danno, soprattutto se si è membri di un partito della maggioranza. E se l’attuale maggioranza si può qualificare nel suo insieme come orientata nel centro-sinistra sarebbe quantomeno curioso che prendesse provvedimenti di centro-destra - come d’uso, spacciati per gli unici capaci di risolvere situazioni. 
Al contrario, la dilagante cultura di destra in economia ha causato i peggiori guai che ci assillano da anni, senza che ancora si riesca a costruire una cultura alternativa all’altezza della sfida. 
Se le critiche, pesanti, vengono da destra non c’è da sorprendersi: se il governo fa gli Stati Generali dell’economia a Villa Pamphili è un’inutile passerella dove si mangiano “i salatini” mentre quando le passerelle le faceva Berlusconi erano importanti incontri internazionali guidati da un magnate illuminato. 

Venti contrari soffiano, però, con un certo impeto: non amo abbattere le statue così come non amo costruirle, ma non si può non riconoscere nella furia iconoclasta che sta imperversando soprattutto in America un cambio della sensibilità collettiva, che non accetta più sentimenti un tempo radicati. Razzismo, supremazia culturale e patriottica, divisioni, guerre di conquista, il giogo posto su interi popoli, schiavitù. L’idea che un popolo con la società che ha costruito siano “superiori”, non ha alcuna base scientifica. Oggi il sentimento comune tende a cambiare direzione, e non va sottovalutato o derubricato in estremismi che sicuramente sono presenti ma non bastano ad includere il tutto. Il movimento giovanile ambientalista guidato da Greta Thunberg è un altro esempio di nuove sensibilità che si stanno diffondendo in misura molto più ampia dei classici movimenti ambientalisti. Un grande partito progressista, come lo è il PD, non può non approfondire  questi temi: almeno se ne discuta. Ho fatto parte del movimento che in sintesi veniva denominato “no-global” e mi auguro che la sinistra non faccia lo stesso errore di allora di considerare con sussiego uno spazio politico che invece aveva qualcosa da dire. 
Quanto alla statua di casa nostra, quella di Indro Montanelli, certo non approvo il gesto di coloro che l’hanno imbrattata, ma non approvo nemmeno coloro che l’hanno costruita, con un’iniziativa fuori luogo per un personaggio quantomeno controverso.  
Questa epidemia dovrebbe averci aperto gli occhi con uno sguardo diverso; siamo tutti uguali e tutti ugualmente sula stessa barca. L’unica cosa che può aiutarci a condurla è l’uso della ragione.

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