mercoledì 30 dicembre 2020

Una crisi per una rinascita (ma costruiamola bene)

 Per la fine dell’anno 2020 alcune riflessioni che vorrei beneauguranti. Abbiamo trascorso un anno che classificare fra i difficili è dire poco. Siamo stati esposti all’incognito che noi stessi abbiamo contribuito a creare, un pericolo sconosciuto e nocivo che emerge dai meandri dei fiumi sotterranei che il nostro modello sociale va a scoprire e portare all’aperto, in un’azione desacralizzante e non scientifica di tutto ciò che esiste ed è alla nostra portata. Conseguenze immaginate - al contrario di ciò che molti scrivono - ma non valutate nella loro reale portata, frutto di un mondo abituato a procedere senza porsi limiti. 

Un concetto fastidioso, quello di limite, non per niente le più grandi minacce che incombono su di noi ci mostrano limiti che non vogliamo vedere: lo sfruttamento delle risorse naturali, lo stato della biosfera terrestre e del sistema climatico, la nostra intrusione nei sistemi naturali che ancora resistono. Ignorare l’opportunità di porci dei limiti (validi, studiati, scientifici) a livello individuale e collettivo ci espone alla scelta di perdere il controllo completo su noi stessi: il vaccino, che non poche persone temono, che inietta nel nostro corpo agenti esterni utili a contrastare un virus sconosciuto alle nostre difese immunitarie. La pandemia del 2020 ci ha mostrato come non mai che fra le conseguenze dell’agire senza limiti autoimposti c’è la perdita dell’integrità individuale, operazione necessaria (e speriamo sufficiente) a contrastare la malattia. Il pipistrello portatore del virus finito sui mercati alimentari in una lontana provincia asiatica, tolto dal folto della foresta, ha esposto tutto il mondo, interdipendente da sempre ed ora ancor di più, ad un rischio mortale che per tanti, troppi, si è trasformato in morte reale. Il limite è stato violato (non esistono più i “boschi sacri” di un tempo, e non si è formata parallelamente la coscienza ecologica necessaria) ed ora è indispensabile intervenire con un’azione sanitaria collettiva in cui praticamente cediamo un pezzo di sovranità sul vostro corpo. Lo facciamo per il bene di noi tutti, questa volta su basi scientifiche - quelle stesse che nessuno segue se si tratta di sfruttare i sistemi naturali - ma su un piano collettivo altrimenti è inutile. Una forma di responsabilità che riguarda tutti, fatta eccezione per condizioni patologiche estremamente rare di gravi allergie, nei confronti di tutti gli altri. In altre parole, da questo profondo gorgo ne usciamo solo insieme.

La società del rischio, la società dell’incertezza, con potenziali danni di dimensioni globali, alla quale dobbiamo trovare forme di adattamento. Partendo da un base ormai certa: il fatto che non potremo mai dominare la realtà. Dobbiamo accettare innanzitutto il senso di insicurezza come elemento costitutivo del mondo reale, e da qui partire nuovamente per costruire. Adattarci non significa rinunciare. 

Scendendo su un piano concreto, è ormai chiaro che il discorso complessivamente convergente nel processo denominato “globalizzazione”, fondato su teorie economiche definite “neoliberiste”, è fallito, abbattuto sotto i colpi di crisi economiche, conflitti striscianti, attentati terroristici, attacchi ai sistemi naturali, e pandemia. Chi hanno raccontato false promesse per trent’anni, la strada scelta ora è definitivamente chiusa, priva di ponti per il futuro. (Amara soddisfazione per coloro che, come chi scrive, aderirono al movimento denominato in breve “no-global” oltre vent’anni fa, vedere ora molte delle tesi di allora confermate nei fatti).  

Ora si tratta di guardare avanti per costruirlo, il futuro, memori delle lezioni apprese. Uno dei pilastri su cui edificarlo riguarda il concetto inteso con la parola “sviluppo”: esso deve essere qualitativo, inclusivo, esteso geograficamente. Ma non può essere illimitato. 

Riscrivo: lo sviluppo deve essere qualitativo e inclusivo, esteso a tutta la Terra e i suoi abitanti, ma non illimitato. I limiti dello sviluppo esistono e non possiamo ignorarli, pena tragedie che possono essere di gran lunga peggiori del Covid19.

La modernità deve riscoprire il senso della comunità, del progetto comune che riguarda l’umanità. Dalla pandemia usciremo solo insieme, dalle sfide globali (fame, sottosviluppo, crisi climatiche) usciremo solo insieme. Nessuno si salva da solo. 

Essa deve anche scoprire, e sta scoprendo, il valore della fragilità, della presenza dei più deboli, della necessità di cura. Quando tutti cercano il potere puntando l’attenzione lontano si perde di vista il paesaggio vicino, dove necessità importanti superano con una bassa collina l’alta montagna che si staglia all’orizzonte.

La scienza può essere utile per guidare le scelte. La scienza non è infallibile, ma è la costruzione umana migliore per comprendere il mondo. A volte si legge che proprio la scienza ha guidato lo sfruttamento della Natura che oggi paghiamo a prezzo sempre più caro, ma questa è una tesi falsata dal fatto che dei principi scientifici si traggono solitamente solo quelli utili a creare profitto. I limiti dello sviluppo sono insiti nel Secondo Principio della Termodinamica, e non sarà certo una teoria economica a modificarne i contenuti. 

Dunque, ricominciamo, ricordando che ciò che facciamo non è vano, ma ha conseguenze prossime e lontane, presenti e future. La crisi presente apre al nuovo. Il mondo ha bisogno di un cambiamento che questo doloroso momento di passaggio può accelerare; l’augurio è che si riesca ad approfittare dell’occasione nel migliore dei modi. 

Auguri di un 2021 migliore possibile.


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