venerdì 19 aprile 2024

Tutte le stagioni in una settimana. E dovremo abituarci.

 Il cambiamento climatico presenta ormai con evidenza empirica praticamente tutte le caratteristiche previste da anni dai modelli climatici scientifici: il riscaldamento globale medio, l’estremizzazione dei fenomeni meteorologici, la variabilità notevole e rapida.






“In Emilia-Romagna, come in altre regioni d’Italia e d’Europa, l’inverno meteorologico 2024, che copre il periodo da dicembre 2023 a febbraio 2024, è stato il più caldo dal 1961”, si legge sul sito di Arpa Emilia-Romagna. L’andamento in crescita emerge dal grafico che rappresenta la serie delle temperature medie regionali dal 1961 al 2024, riferite ai mesi invernali di dicembre, gennaio, febbraio. Nel grafico, le linee orizzontali gialla e rosa rappresentano la media del periodo che va dal 1961 al 1990 e dal 1991 al 

2020. Si nota che la temperatura media regionale ha raggiunto 6,6 °C, superando di +2,7 °C la media del trentennio 1991-2020, e di ben +3,7°C la media del periodo precedente, dal 1961 al 1990. Quando si leggono dati di questo tipo occorre fare attenzione al periodo rispetto al quale è riferito lo scarto, dato che un periodo recente, come gli ultimi trent’anni, è già esso stesso alterato dal riscaldamento globale.

Ma le alterazioni vanno oltre il calore, e sono percepibili direttamente. In Emilia-Romagna il clima locale è passato dall’estate all’inverno nel giro di quattro giorni di aprile: la temperatura nel primo pomeriggio di domenica 15 aprile a Bologna era di 29°C, lo stesso termometro nel primo pomeriggio di giovedì 18 aprile segnava 9°C. Dalla condizione di sole e caldo si è passati in quattro giorni al pieno inverno, confermato dalla neve in Appennino: 15 cm sui crinali, a Frassinoro, sul Cimone, etc.

Il ciclo dell’acqua ne risente, e siamo già in uno stato di siccità ricorrente dovuta sostanzialmente al fatto che d’inverno non nevica come un tempo era normale, mentre si rischiano forti piogge concentrate in tempi limitati.  Speriamo infatti che non succeda di nuovo il “fenomeno estremo” che lo scorso anno in maggio ha portato ad un’alluvione devastante.

Gli ecosistemi di certo non traggono vantaggio da una simile situazione, mentre le loro capacità di adattamento richiedono tempi lunghi, l’unica cosa che non abbiamo. I tempi sono estremamente ristretti ed ogni raffronto con i cambiamenti che le ere geologiche hanno comportato non ha alcun senso.

Questo in estrema sintesi, invitando a navigare sui siti dedicati per evitare di cadere nel tranello della sciocchezza del cambiamento climatico “ideologico” che circola sul web. Per parte di questo blog, una sintetica esposizione dei dati continuerà ad essere fatta periodicamente per non perdere di vista l’obiettivo imprescindibile del contenimento entro limiti accettabili di un cambiamento climatico che continua ad essere molto preoccupante.



Il sito di ArpaE da cui è tratto il grafico:


https://www.arpae.it/it/notizie/inverno-2024-emilia-romagna-record








venerdì 29 marzo 2024

L’approvvigionamento energetico dopo l’attacco russo all’Ucraina

 In un contesto conflittuale e di grave pericolo nei rapporti fra la Russia e l’Occidente quale quello che stiamo vivendo ormai da tempo, i temi della difesa comune dell’Unione Europea e dell’approvvigionamento energetico sono centrali, ed almeno il secondo è allo stesso livello del primo, anche se se ne parla assai di meno. La dipendenza dell’Unione e in particolare dell’Italia dalle risorse energetiche russe raggiungeva livelli incredibili (si importava il 40% del gas) prima dell’aggressione all’Ucraina e capaci di mettere seriamente in difficoltà il sistema economico in caso di ostacoli, e da molto tempo evidenziavano la necessità (ora diventata impellente) di diversificare le fonti e i Paesi di provenienza di alcune di esse. Diversificare le fonti, in particolare aumentando la quota di rinnovabili e incrementando l’efficienza, è l’unico modo che ha un territorio che, come il nostro, possiede solo quantità marginali di fonti fossili tradizionali, e non può essere che una scelta positiva, anche a prescindere dal minor impatto ambientale. 

Ora lo stiamo facendo, e in tempi stretti come mai prima d’ora. 


Al livello europeo,  come si legge sul sito del Consiglio Europeo, “La percentuale di gas russo da gasdotto nelle importazioni dell'UE è scesa da oltre il 40% nel 2021 all'8% circa nel 2023. Per quanto riguarda il gas da gasdotto e il GNL combinati, la Russia ha rappresentato meno del 15% delle importazioni totali di gas dell'UE. La riduzione è stata possibile soprattutto grazie a un forte aumento delle importazioni di GNL e a una riduzione generale del consumo di gas nell'UE.”

Dunque, in meno di due anni, l’UE ha ridotto moltissimo l’importazione di gas naturale dalla Russia, aumentando le importazioni via nave di GNL e riducendo il consumo. Dal che, emerge con evidenza che si può ridurre i consumi.

Dall’infografica interattiva alla pagina indicata al link in calce, si rileva che le maggiori variazioni che hanno consentito questo risultato sono l’incremento delle importazioni dagli Stati Uniti e proprio la riduzione dei consumi complessivi. In particolare, si legge anche che nel giro di un anno da agosto 2022 e gennaio 2023 i paesi dell'UE hanno ridotto collettivamente la quantità di gas naturale consumato nell'UE del 19%, vale a dire di 41,5 miliardi di metri cubi, con percentuali diverse nei vari Paesi.

La sicurezza dell’approvvigionamento e l’autonomia energetica, per quanto possibile, sono fondamentali, e ancor più, decisive nel ruolo e nella collocazione geopolitica internazionale dell’Europa, tanto quanto la famosa difesa comune che è arrivato il momento di porre in essere al più presto.


L’Italia ha applicato le indicazioni europee con un Piano di contenimento dei consumi che, insieme agli effetti degli alti costi energetici,  ha raggiunto l’obiettivo di ridurre i consumi di gas nello stesso anno di oltre il 18%, dunque in linea con la media UE. Siamo inoltre il secondo Paese dell’Unione per stoccaggio di gas (il primo è la Germania) prima dell’inverno appena trascorso, e abbiamo registrato un notevole incremento delle installazioni di fonti rinnovabili - senza i sussidi pubblici. Probabilmente, a guidare il tutto è stata più la dinamica dei prezzi che le indicazioni politiche, ma la situazione appare in evoluzione. Inoltre, abbiamo aumentato le importazioni da Paesi diversi e ridotto notevolmente quelle dalla Russia - che però non sono state azzerate. Algeria, Azerbaijan, Norvegia, Libia e Russia, che contribuisce per meno di un decimo di quanto faceva prima.

Evitare di dipendere fortemente da un solo Paese, e cercare di ridurre le necessità complessive di gas, sono linee guida indispensabili in questa fase. Anche questo aspetto va a beneficio della sicurezza energetica, che si trova alla base della sicurezza di un Paese.

Quanto prima l’Unione si doterà davvero di una politica energetica comune e di una difesa comune, tanto prima raggiungeremo gli obiettivi legati al ruolo internazionale e al benessere della cittadinanza che ci siamo dati.


Il link indicato nell’articolo:


https://www.consilium.europa.eu/it/infographics/eu-gas-supply/





giovedì 14 marzo 2024

Politiche eco e mondi da salvare

 Sostiene Antonio Guterres (Segretario dell’ONU) durante l’intervista di Fabio Fazio a Che Tempo Che Fa che “abbiamo bisogno di solidarietà internazionale seria per mettere insieme le risorse e le capacità di tutti, perché è un problema di vita o di morte per noi e per il Pianeta; noi saremo in prima linea come Nazioni Unite in questa battaglia”, in riferimento alla crisi climatica che l’intero pianeta sta attraversando.

Va dato atto a Guterres di essersi espresso più volte in modo molto netto sul tema pesante del cambiamento climatico e come farvi fronte, in un contesto globale in cui, invece, il risiko delle grandi potenze sembra prevalere irresponsabilmente e come se non ci fossero sul tavolo problemi talmente grandi da avere la capacità di portare tutti noi, grandi potenze incluse, dritti nel baratro. I sistemi naturali sono in tali condizioni da portare l’umanità fuori dai percorsi consolidati verso territori in gran parte sconosciuti e per la parte restante preoccupanti se non interveniamo in breve tempo a modificare la rotta. In questo contesto, i contendenti nelle varie guerre che infestano il pianeta sono l’immagine dell’irresponsabilità, se non la personificazione dell’istinto di thanatos che dalla psiche esce e si fa arma per uccidere tutti quanti il più in fretta possibile. Nessuno di costoro mostra di aver capito che esiste un problema più grande per risolvere il quale dovremmo unirci e agire in modo coerente. E l’ONU non sembra in grado di farglielo capire.


Va dato atto anche all’Unione Europea di perseverare nella propria linea ambientalista (che è una bella parola, molto concreta e assai poco “ideologica”) come mostra la recente approvazione da parte del Parlamento della Direttiva sull’Efficienza Energetica degli Edifici, da tutti ribattezzata Direttiva sulle “case green”. Per la cronaca, e riguardo i partiti italiani, hanno votato contro: Fratelli d’Italia, Forza Italia, Lega, Azione, mentre hanno votato a favore: Partito Democratico, Movimento5stelle, Verdi e Sinistra, Italia Viva. 

Se ne parla da anni, anzi da decenni, della necessità di intervenire per risparmiare energia nei settori di consumo anziché produrla, e l’efficienza energetica è la strada più lineare e incontestabile. Gli edifici datati, per come sono stati costruiti, richiedono molta energia per riscaldare, per raffrescare o per illuminare, mentre sono sul mercato tecnologie che consentono risparmi notevoli efficientando l’edificio, fino a renderlo “quasi zero” vale a dire con consumi bassissimi e impatti ambientali altrettanto bassi, con considerevoli risparmi in bolletta. Si parla da anni di iniziare dagli edifici pubblici, e dalle scuole, palestra dell’incoerenza sociale nel momento in cui insegni agli studenti come risparmiare energia o fare la raccolta differenziata dentro aule fredde piene di spifferi dalle finestre monovetro con termosifoni al massimo e cappotti sulle spalle. Chi le ha costruite, con quali denari, e aggiungerei con quali architetti?

I partiti contrari dicono che non si trovano i soldi per simili interventi, ma sono gli stessi che intendono trovare i soldi per ponti giganti inutili, per condonare le imposte agli evasori, per piste olimpioniche che diventeranno cattedrali nel deserto - dopo naturalmente aver abbattuto un bosco di larici secolari.

Dunque l’Europa mantiene il ruolo di guida a livello mondiale sui temi ambientali, ruolo che ha da anni, e che può essere un grande beneficio sociale e politico se ben sfruttato. Non si tratta di porre in essere decisioni che ostacolino la nostra economia, che sarebbe un errore grave, si tratta di incidere sull’economia mondiale, orientandone la forma e i contenuti.  Essere i primi in qualcosa che avverrà dovunque. L’Europa nell’ambito economico è una potenza mondiale e può esercitare la sua influenza sul piano globale. 


“Non siamo riusciti a far sì che la gente comune abbia l’esperienza concreta dei benefici della transizione” sostiene la Ministra Teresa Ribera del governo Sanchez, in una recente intervista sul Corriere della Sera. Credo che in larga misura sia vero. Perché, oltre ai benefici ambientali, sempre indiretti nella percezione del cittadino, la transizione ecologica può portare notevoli benefici economici, occupazionali, sociali legati allo sviluppo sostenibile. Si tratta di un salto in avanti, non indietro, che è invece la direzione in cui ci porterebbe il mantenimento dello status quo. Questo aspetto è sempre in secondo piano, e forse è anche colpa nostra, degli ambientalisti, non aver saputo comunicare efficacemente la positività legata a questo cruciale passaggio. La cultura di base ha un ruolo, accanto alla sensibilità di ciascuno, determinante nel costruire percorsi fatti di idee e proposte orientate allo sviluppo sostenibile. “Conoscere il tuo pianeta è un passo verso il proteggerlo” sosteneva il grande oceanografo Jacques Cousteau, e spesso manca proprio il primo passo, una cultura ecologica di base per iniziare un cammino che porti sulla via della sostenibilità.








venerdì 9 febbraio 2024

UE: eolico supera il gas nella produzione elettrica

 L’anno appena trascorso ha visto il raggiungimento ed il superamento di una serie di valori-soglia importanti nei Paesi dell’Unione Europea ben descritti nell’articolo di Qualenergia “Eolico batte gas, carbone ai minimi storici: l’elettricità dell’UE nel 2023” (in calce), che cita a sua volta un rapporto di Ember, organismo indipendente di studio sulle politiche energetiche che abbiamo già incontrato più volte, dal titolo “European Electricity Review 2024”.

Dice l’articolo che le fonti energetiche fossili per la prima volta sono calate fino a contribuire per meno di un terzo della produzione complessiva di elettricità, che l’eolico ha superato il gas generando 475 TWh contro 452 TWh, registrando un’aumento di 55 TWh, che eolico e fotovoltaico insieme hanno contribuito per oltre un quarto, precisamente per il 27%, alla generazione complessiva, e che tutte le rinnovabili insieme hanno superato il 40% della produzione totale arrivando al 44%. Da notare che si tratta di valori di produzione di energia elettrica, e non di potenza installata, quindi confrontabili direttamente con la generazione da fonte fossile.

Questi dati vanno affiancati ad un calo della domanda di quasi 2.700 TWh, corrispondenti a -3,4% rispetto al 2022.


Nello specifico, la produzione di energia da carbone ha raggiunto il minimo storico di 333 TWh, con un crollo nel giro di un anno di -26%, contribuendo alla generazione complessiva con il 12%. Anche il gas è diminuito, con 452 TWh corrispondenti ad una riduzione di -15% sull’anno precedente, e ad un contributo sul totale del 17%.







Nel grafico, che evidenzia con i colori il fatto nuovo che il vento, ossia una fonte energetica naturale e pulita, ha superato il gas nella generazione elettrica in Europa, si possono notare alcune altre caratteristiche. Innanzitutto, i valori di partenza riferiti all’anno 2000, nettamente diversi e distanti fra le fonti energetiche: bassissimi per vento e sole, intermedi per il gas e l’idroelettrico, elevati per nucleare e carbone. In secondo luogo, gli andamenti nel tempo: oscillante ma sostanzialmente stabile per la fonte rinnovabile storica, l’idroelettrico, calante per il nucleare, fortemente calante per il carbone, mentre il gas oscilla notevolmente nella fascia intermedia, e infine fortemente crescente per solare ed eolico. Questi dati ci dicono che la ormai famosa transizione ecologica è in corso, non si arresta - ricordate i timori di una frenata o di un arretramento ai tempi del lockdown del Covid? - e anzi procede nonostante tutti gli ostacoli, che comunque ci sono, basti pensare alle difficoltà che ci siamo trovati davanti quando abbiamo pensato di allontanarci dalla dipendenza  dalla Russia. Questo è il dato positivo: una volta iniziato il percorso, la via è tracciata, e non si torna indietro.

Il secondo elemento positivo che emerge dai dati è il calo delle emissioni inquinanti e climalteranti: si registra infatti un crollo record delle emissioni di -19%. Non è detto che si tratti di una tendenza stabile anno per anno, ma è molto probabile che si inserisca in una tendenza su un periodo più lungo di diminuzione delle emissioni provenienti dalla generazione elettrica.


Come dice Sarah Brown (Eu Programme Director di Ember, traduco dal sito) “La crisi energetica e l’invasione russa dell’Ucraina non hanno portato ad una rinascita di carbone e gas - anzi, ne siamo lontani. Il carbone sta uscendo dalla produzione, mentre eolico e solare crescono, e il gas è prossimo al declino. Ma non è tempo di compiacersi.” 

Penso che sia tempo di continuare a lavorare per creare un sistema efficiente di produzione energetica libera dalle fonti fossili, e questi dati mostrano che è possibile. 



Il rapporto di Ember si trova al seguente indirizzo:


https://ember-climate.org/insights/research/european-electricity-review-2024/


L’articolo che lo riassume sul sito di Qualenergia:


https://www.qualenergia.it/articoli/eolico-batte-gas-carbone-minimi-storici-elettricita-ue-2023/





giovedì 4 gennaio 2024

Appennino sotto attacco

 La montagna non è al sicuro: stanno cercando di imbrigliarla con funi, pali di cemento, cabinovie, ovvero con un grande progetto di impianti di risalita per sciare fra Emilia e Toscana, una idea certo non nuova per lo “sviluppo” della zona con il turismo basato sulla neve. Se poi la neve non c’è, il medesimo “sviluppo” non si fa vergogna di spararla eventualmente con i cannoni, facendo ricorso ad abbondanti consumi di energia e di acqua - che c’è sempre meno - per far girare l’economia guadagnando denaro invece di preservare l’energia e la risorsa idrica per scopi più utili, e fare girare l’economia in altro modo.

Su basi come queste si governano i territori, vale a dire senza vedere oltre la punta del proprio naso, senza considerare anni di riflessioni sui modelli di sviluppo alternativi - con cui troppo spesso è sufficiente riempire i discorsi preelettorali - e senza valutare nemmeno il cosiddetto adattamento al cambiamento climatico, parte fondante della strategia delle Nazioni Unite in risposta al maggiore problema che ci troviamo ad affrontare a livello planetario. I climatologi, dal canto loro, ci informano che la neve che comunque verra’ sara’ piu’ probabile nei mesi di gennaio e febbraio, cioè lontano dal periodo delle festività, e del turismo, natalizie.


L’Appennino in questione è il crinale fra Emilia Romagna e Toscana, nella zona del Corno alle Scale, un’area che possiede già impianti per lo sci, ma che soffre ogni inverno sempre più del riscaldamento globale che riduce fino ad azzerare la presenza di neve. Il rischio concreto è di costruire una cattedrale nel deserto (magari a perenne monito dell’ottusità) spendendo cifre importanti.

La vicenda nasce nel 2016, all’epoca del Governo Renzi, quando un accordo di programma fra Governo, Regione Emilia-Romagna e Regione Toscana, guidate rispettivamente da Stefano Bonaccini, tuttora in carica, e da Enrico Rossi, nel frattempo sostituito da Eugenio Giani eletto nel 2020, viene siglato per “il sostegno e la promozione congiunta degli impianti sciistici della montagna tosco-emiliano-romagnola” (da Greenreport). Lo scopo è potenziare impianti già esistenti e costruirne dei nuovi su entrambi i versanti, toscano ed emiliano romagnolo. Un progetto calato dall’alto, senza alcun legame con i territori. Il costo complessivo ad oggi sarebbe intorno ai 16 milioni di euro, di cui circa 6 milioni a carico dello Stato e 10 milioni a carico della Regione Toscana. La Regione Emilia Romagna mette sul piatto per parte sua oltre 7 milioni di euro per 15 progetti fra cui quelli riguardanti il versante emiliano degli impianti in questione.

Sono passati alcuni anni, ma mentre tutto lasciava pensare che la realizzazione degli impianti fosse ormai un’idea del passato, il 9 marzo dello scorso anno è stato depositato a Pistoia lo Studio di Fattibilità. Dunque, si vuole procedere.


La scelta viene immediatamente criticata e disapprovata da numerose associazioni ambientaliste, e non solo o non strettamente tali, come Legambiente, WWF, Lipu, di cui si leggono le osservazioni all’indirizzo in calce, CAI, di cui un bell’articolo viene altresì linkato in calce, Italia Nostra, Fridays for Future, Touring Club, Spi-CGIL, e altre. Si forma nel 2020 un comitato denominato Un Altro Appennino è Possibile presente sia sul versante emiliano romagnolo sia sul versante toscano. Il comitato ha posto in essere una raccolta fondi per presentare un ricorso al Consiglio di Stato, che ha avuto ottimi risultati: è stata superata la soglia prefissata di 10.000 euro, raggiungendo la cifra di oltre 12.000 euro. 

La domanda a questo punto sorge spontanea: ma a questo si deve arrivare? A fare ricorso? 

Certo, sono numerosissime le opposizioni a progetti di varia natura sul territorio italiano, si formano comitati per ogni cosa, è stata stigmatizzata la tendenza a non volere nulla dove ciascuno vive da un acronimo inglese (NIMBY), ci si oppone un po’ a tutto, rinnovabili comprese. La sensazione, però, è che si arrivi a questo perché la fiducia cieca non è sufficiente. Infatti, proprio in casi come questo che stiamo esaminando le amministrazioni che hanno fatto la proposta avrebbero il dovere - il dovere - di spiegare con chiarezza i benefici, i costi, gli impatti ambientali, e soprattutto le ragioni di una scelta che implica un intervento esteso sul crinale appenninico (zona di grandissima importanza naturalistica) in una fase storica che, salvo oscillazioni statistiche che saranno sempre più contenute, vedrà sparire progressivamente l’innevamento naturale alle quote interessate. Poi faremo la neve con i cannoni? Di quale sviluppo “sostenibile” stanno parlando?


Credo fermamente che non sia possibile individuare una linea semplice da seguire per costruire un tipo di sviluppo concretamente sostenibile, ma che sia necessario di volta in volta approfondire i vari aspetti di un progetto e calibrarne costi e benefici, nel contesto locale, nazionale, e quando necessario sovranazionale. In questo caso, davvero si fatica a comprendere le ragioni di una scelta, che sembra più dettata da ansia di costruzione che da una ponderata analisi. 


La realtà è che il progetto andrebbe fermato, e andrebbero riviste le prospettive di sviluppo della zone interessate, valutando alternative più adatte al nuovo clima e alla necessità di ridurre sempre più e prima che sia tardi le conseguenze sui sistemi naturali delle attività umane. Abbiamo creato noi lo sviluppo che ha cancellato la neve, e ora vogliamo costruire impianti per sciare sulla neve: mettiamoci d’accordo su ciò che vogliamo fare, una volta tanto.


L’articolo su Greenreport: 


https://greenreport.it/news/clima/nuova-funivia-doganaccia-corno-alle-scale-le-osservazioni-di-legambiente-wwf-e-lipu/


L’articolo del CAI:


https://www.loscarpone.cai.it/dettaglio/ha-ancora-senso-nel-2023-realizzare-nuove-funivie/


Il sito del comitato Un Altro Appennino è Possibile:


https://www.unaltroappennino.it



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