martedì 17 settembre 2019

L’Europa che vogliamo

Mercoledì scorso, 12 settembre, l'Unione Europea ha mostrato ciò che vorremmo sempre vedere: l'orgoglio di essere un'istituzione fondata su valori e principi forti, delimitata dalla loro condivisione, a cui si può appartenere soltanto su tale base, e non su altre come potrebbero essere l'etnia, il territorio, la religione, o caratteristiche diverse non conformi alla struttura etica e politica su cui si fonda l'Unione.

Il Parlamento europeo ha approvato a maggioranza dei due terzi l’attivazione di una procedura nei confronti dell’Ungheria di Viktor Orbán finalizzata a chiedere al Consiglio di verificare la sussistenza di un serio rischio di violazione grave dei principi fondamentali dell’Unione Europea. Un applauso, quasi un boato, è esploso nell'aula di Strasburgo quando sono stati contati 448 voti a favore, 197 contrari, e 48 astenuti. Non era mai accaduto prima, ed in pochi avrebbero in realtà scommesso sulla vittoria così ampia dei voti a favore. La norma che consente questo tipo di intervento è l’articolo 7 del Trattato di Lisbona, volto a punire gli Stati che non rispettano i valori fondanti dell’UE.

La vicenda ha avuto inizio dall'analisi condotta dalla deputata europea Judith Sargentini, olandese,
nella quale si toglie il velo alla realtà dell'Ungheria di oggi:  un contesto che appare fortemente lesivo dei principi democratici e liberali. Del resto, il sostenitore della "democrazia illiberale" non dovrebbe esserne particolarmente sorpreso, visto che la sua (e purtroppo, di altri, come vedremo) azione politica appare volta proprio ad attaccare l'Unione alle fondamenta.
I punti presentati nell'analisi che ha avuto il benestare del Parlamento di Strasburgo sono molti, e riguardano l’indipendenza dei giudici e della Corte costituzionale, la libertà di stampa, la corruzione nell’utilizzo dei fondi europei, i diritti delle minoranze e dei migranti, provvedimenti del governo che ledono i principi fondamentali sanciti dall’articolo 2 del Trattato, come l’uguaglianza, il pluralismo e lo stato di diritto, si parla di violazione della libertà di associazione, di espressione e di religione, la mancata indipendenza del sistema giudiziario, criticità nel funzionamento del sistema elettorale, corruzione e conflitto d'interessi, insufficiente privacy e protezione dei dati, mancato rispetto dei "diritti fondamentali di migranti, richiedenti asilo e rifugiati".
Temi forti, pregnanti, che mettono sotto accusa il governo Orbán per avere indebolito lo stato di diritto, le istituzioni democratiche, e aver posto il suo Paese su una via che porta lontano dai valori irrinunciabili su cui si fonda l'Unione.

Ora, in molti sostengono che il voto avrà per il momento un significato soprattutto simbolico e politico, dato che per procedere nei successivi passaggi servono anche posizioni unanimi dei singoli Stati. Questo è certamente possibile, ma resta il fatto che anche il significato simbolico e politico costituisce, in sè, un elemento notevolissimo. L'Europa ha innanzitutto mostrato di esistere, di essere un edificio fondato su basi solide e non sulla sabbia, di saper prendere una posizione netta a partire da una semplice mozione di un suo deputato. L'Europa della democrazia, dei valori di libertà e giustizia, dei 70 anni di pace. L'Europa dell'unione volontaria di più Stati nell'esperimento socio-politico più avanzato che sia mai accaduto al mondo. L'Europa che vogliamo.
Sembra retorica? Niente di più falso. Almeno non più di quanto siano reali la vita in democrazia, lo stato di diritto, la separazione dei poteri, i 70 anni senza guerre. La moneta unica. Al confronto della quale la nostra vecchia lira scomparirebbe non senza conseguenze. Ad Orban, ed ai suoi amici Salvini e Berlusconi - anche questa non è retorica, visto che Lega e Forza Italia hanno votato contro il provvedimento ed a favore di Orban -  forse sembra poco, impegnati come sono a smantellare ciò che di buono è stato fatto in vista di un futuro "sovranismo" che odora tanto di passato, il solito luogo temporale dove intendono portarci le destre.

L'Unione Europea è stata anche la punta più avanzata sul piano internazionale delle politiche ambientali. In questo ambito, il significato di un organismo capace di una visione di area vasta riguarda sia la forza con cui si portano avanti le scelte, sia la possibilità di unire ed omologare le politiche locali. Una serie di Stati che "sovranamente" facciano ciò che vogliono, senza un qualche tipo di coerenza fra loro, e privi della forza necessaria a livello internazionale, non possono essere in grado di influire come richiesto dalla situazione, che si presenta grave. Chissà perchè, nessuno parla mai in Italia della questione del cambiamento climatico, un problema epocale. Una questione da affrontare sul piano politico, a cui nessuno sa dare risposte e spiegare se sia meglio risolverlo su base nazionale o su base europea, e poi necessariamente mondiale.

Sicuramente tutto ciò non basta, e l'Unione Europea va migliorata in molti aspetti legati alla sua capacità di intervento e di raccordo.  Ma i suoi difetti vengono dilatati e poi usati apertamente da coloro che mirano a distruggerla. Questa è la scelta che si presenta dinanzi a noi: conservarla intervenendo sulle criticità, o separarci di nuovo fra Stati diversi dando luogo alla peggiore regressione dei tempi moderni. Nel prossimo mese di maggio 2019, saremo chiamati a votare il rinnovo del Parlamento UE. Sarà una tappa importante.

In evidenza

Tutte le stagioni in una settimana. E dovremo abituarci.

  Il cambiamento climatico presenta ormai con evidenza empirica praticamente tutte le caratteristiche previste da anni dai modelli climatici...

Più letti