martedì 16 novembre 2021

Cop26: fine della deforestazione, ma al 2030


Anche i risultati della Cop 26 (ventisei!) tenutasi a Glasgow giacciono fra i chiaroscuri che usualmente avvolgono i contenuti di questi vertici, difficilissimi da raggiungere in partenza per la necessità di accordare fra loro quasi tutti i Paesi del mondo, ovviamente diversissimi fra loro.

Due pilastri che possono essere buon sostegno alla lotta al cambiamento climatico e alla depauperazione della natura terrestre sono l’accordo sul metano e l’accordo sulla fine della deforestazione. Partiamo oggi da quest’ultimo, una buona notizia, attesa da tempo, estremamente positiva se ovviamente sarà realmente attuata.

Oltre cento Paesi ospitanti in totale l’86% delle foreste presenti sulla Terra 

si sono impegnati a fermare la deforestazione entro il 2030, mettendo sul tavolo impegni finanziari, inclusi investimenti privati, per un ammontare di 19,2 miliardi di euro. L'Unione europea si è impegnata per un miliardo, di cui 250 milioni da destinare al Bacino del Congo, secondo polmone della Terra dopo l'Amazzonia. Il presidente americano Joe Biden ha annunciato che chiederà al Congresso di stanziare 9 miliardi entro il 2030. Ma ciò che più conta è che tra i firmatari ci siano anche il Brasile (con la presidenza Bolsonaro, accusata da anni di consentire il disboscamento nella foresta dell’Amazzonia), la Russia, la Cina, la Colombia, l’Indonesia, l’Australia, il benemerito Costa Rica, ossia Paesi che ospitano gran parte delle foreste del mondo. 

Ora, che cosa succede da qui al 2030? Speriamo che non le radano al suolo, così che al 2030 non ci saranno difficoltà nel fermare la deforestazione...


Proteggere le foreste significa proteggere serbatoi di carbonio, produttori di ossigeno, scrigni di biodiversità, mitigatori del clima, significa conservare habitat naturali antichi o primari, tutelare popoli nativi e le loro culture. Un patrimonio che non ha prezzo, visto che è indispensabile alla vita sulla Terra.

Ma quante sono le foreste oggi? Per avere un’idea, la figura mostra le foreste primarie in verde scuro, le deforestazioni occorse negli anni 2000 in rosso, le foreste non primarie in verde chiaro. Queste ultime spesso corrispondono alle aree vergini che un tempo ricoprivano vaste aree del pianeta. E’ evidente che le zone con foreste vergini rimaste sono circoscritte, spesso frammentate, e che c’è un continente, l’Europa, che non ne possiede quasi più. Quasi, perché con una scala più dettagliata si vedrebbero i pochissimi e limitati territori europei ancora oggi con boschi intatti, soprattutto in alcuni Paesi dell’Est (Polonia) o del Nord (Scandinavia). Questo fatto ha un preciso significato politico: se vogliamo che Paesi ancora detentori di patrimoni naturali importanti, e spesso con poche risorse finanziarie, proteggano i beni naturali che possiedono dobbiamo contribuire concretamente per metterli in condizione di poterlo fare. L’Europa non era un immenso territorio agricolo, e meno che meno industriale, era ricoperta di foreste esattamente come lo sono oggi altri Paesi che hanno subito minori impatti. Il nostro Paese non fa eccezione, quasi tutto il territorio è stato modificato in profondità dall’uomo - forse soltanto nascoste valli residui del passato hanno resistito perché impervie. 

Se ci si accorda per tutelare ciò che resta della natura terrestre ciascuno perciò deve fare la sua parte. 

Per approfondire, segnalo il rapporto FAO “The state of the world’s forests - 2020” all’indirizzo in calce, oltre al sito WCS da cui è tratta l’immagine.




https://www.wcs.org/our-work/solutions/climate-change/intact-forests


https://www.fao.org/state-of-forests/2020/en/



mercoledì 3 novembre 2021

G20 di Roma: moderato ottimismo

 Se non ci è dato di predire il futuro, in questo caso in termini probabilistici possiamo prefigurare cosa sarà altamente probabile che accada sulla base dei dati e dei modelli climatici scientifici, e si tratta di scenari molto preoccupanti. Per evitare il peggio si deve agire ora, con tempi ridotti, in modo coerente e, come ha giustamente sottolineato il Presidente del Consiglio Mario Draghi, con un approccio multilaterale. 

Il G20 tenutosi a Roma alla fine di ottobre ha prodotto una dichiarazione di intenti e un confronto ai vertici che si possono considerare con moderato ottimismo. 

L’elenco degli impegni assunti è notevole nonostante manchino ancora posizioni nette su alcuni punti, ed il dialogo è a buon livello, a mio avviso, anche con i Paesi che non erano presenti, come Russia e Cina.

Il testo della Dichiarazione di Roma si trova all’indirizzo in calce, insieme ad una serie di informazioni sull’evento.

Riassumendo in breve i punti principali, e con particolare attenzione al tema ambientale, emerge innanzitutto l’impegno di tutti a rispettare l’Accordo di Parigi del 2015, indirizzando gli sforzi al mantenimento del limite di +1,5°C al di sopra dei livelli preindustriali. Ricordo che già oggi siamo intorno a +1°C, il che significa che il margine è strettissimo. Questo è l’obiettivo-guida dei prossimi anni, e sarà cruciale attuarlo nel concreto.

A tale scopo, viene riconosciuta la rilevanza del raggiungimento della neutralità carbonica (emissioni globali nette nulle) per o intorno alla metà del secolo (“by or around mid-century”), la necessità di eliminare gradualmente e razionalizzare, a medio termine, i sussidi ai combustibili fossili inefficienti, la necessità di porre fine ai finanziamenti pubblici internazionali per la nuova produzione di energia dal carbone all'estero entro la fine del 2021, e il contributo del metano al riscaldamento globale. 

Evidentemente, viene lasciato ampio margine ai singoli Paesi per operare a seconda delle proprie caratteristiche, ma viene anche confermato l'impegno dei Paesi sviluppati di mettere in campo 100 miliardi di dollari all'anno dal 2020 al 2025 per sostenere la transizione energetica delle economie emergenti. La questione della data imprecisa “intorno alla metà del secolo” che molti hanno posto è reale, ma non insuperabile se gli altri impegni verranno soddisfatti. 

La questione della ripartizione dei ruoli fra Stati non è un dettaglio: è vero che i Paesi sviluppati, fra cui Europa e USA, hanno inquinato senza limiti fino ad ora, mentre Cina, India, per non parlare dell’Africa, subiscono le conseguenze del cambiamento climatico avendo contribuito pochissimo in passato, dunque spetta a chi ha tratto maggiori benefici dare un contributo, che vada assolutamente a buon fine, a chi non è stato della partita. Per dare un’idea, Cina e India sono tra i massimi inquinatori in termini assoluti, ma si trovano alla 15° e alla 24° posizione in classifica pro capite, che invece è guidata da Stati Uniti e Australia (trascurando gli Stati piccolissimi). La differenza oggi importante consiste nel fatto che mentre noi stiamo calando le emissioni (USA compresi), loro le stanno aumentando. L’andamento nel corso del tempo diventa centrale nell’analisi: possono i Paesi che non lo hanno fatto finora, realizzare adesso uno sviluppo analogo al nostro? Dal punto di vista scientifico la risposta è no. La Terra ed i suoi sistemi naturali non sopporterebbero un simile percorso. Qui sta il nodo politico principale: fare in modo che si passi alle tecnologie sostenibili direttamente, ora, tutti quanti. 

Il progetto di rigenerazione degli ecosistemi, e l’obiettivo di arrestare al deforestazione  al 2030 affermato alla Cop 26 in corso a Glasgow, costituiscono un contributo fondamentale al raggiungimento di tutti gli obiettivi previsti, incluso quello di prevenire future pandemie simili a quella Covid-19, riguardo il quale la Dichiarazione di Roma prevede di vaccinare il 70% della popolazione mondiale per la metà dell’anno prossimo. 


Dunque, si può dire che il bicchiere è mezzo pieno: una buona cosa se si pensa da dove veniamo (vent’anni fa a parlare di questi temi c’eravamo solo noi ambientalisti e il Principe Carlo), un problema con numerose lacune se si pensa a dove dobbiamo arrivare (azzerare le emissioni).

Sul piano politico l’incontro è stato positivo nel suo complesso e per l’Italia. Funziona il soft power di Roma? Giurerei di sì, guardando le facce mentre salivano lo scalone del Quirinale. Mario Draghi ha ottenuto un buon successo; c’è molto da fare, sarebbe bene andare avanti con il governo in carica e non interrompere ora qualcosa che sta funzionando per il bene del nostro Paese.


Il sito del G20:


https://www.g20.org/it/il-vertice-di-roma.html



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