martedì 20 giugno 2017

Si fa presto a dire progressista (per un centrosinistra ampio che guardi avanti)

Il periodo storico che stiamo vivendo è inevitabilmente caratterizzato da cambiamento. Alcuni sintomi portano a tale conclusione: la crisi economica che perdura da anni e colpisce in misura diversa ma con eguale diffusione i Paesi europei ed il mondo occidentale, e che sembra sempre più una crisi di sistema, le grandi migrazioni di persone da Paesi poveri o sedi di conflitti armati verso Paesi più ricchi, la crescita delle diseguaglianze e la polarizzazione dei redditi,  la crisi ambientale che dopo due secoli di prelievo di risorse in quantità ben superiori a quanto mai fatto prima e rilascio di rifiuti riguarda l'intero pianeta ed i suoi equilibri ecologici, l'evidente difficoltà nel gestire fenomeni come la digitalizzazione con conseguente riduzione della necessità di lavoro o la globalizzazione, segnalano la presenza di una fase evolutiva che richiede attenzione e analisi. Se il cambiamento avverrà per il meglio, o per il peggio, saremo noi, l'attuale generazione, in larga misura a deciderlo, visto che il processo evolutivo in questione non è esclusivamente determinato da condizioni di partenza ma è largamente influenzato da decisioni politiche.
La capacità di vedere le cose con lungimiranza ha perciò un'importanza speciale, e riguarda tutte le formazioni politiche, ed in particolare il centrosinistra, per sua natura "progressista". Per fare questo è necessario almeno impostare un'analisi dei fenomeni in corso, per partire, e farla seguire da un'elaborazione fondata sull'oggi, non sul passato, con tutto il rispetto per il passato medesimo, per poi giungere alla costruzione di una proposta politica. Questo compito spetta, nel nostro Paese, ad un centrosinistra largo, inclusivo, che sappia anteporre gli interessi comuni ai particolarismi di varia natura che hanno sempre bloccato i processi di questo tipo sul nascere. La necessità di un'operazione di questo genere è avvalorata dalla crisi identitaria di cui la sinistra soffre, dall'offuscamento dei suoi contorni, dal conseguente allontanamento di moltissime persone che non si sentono più rappresentate e spesso fanno persino fatica a capire quale tipo di rappresentanza si offre loro.

Qualcosa si muove, nell'area di centrosinistra del nostro Paese, con tentativi di costruire unità a partire da divisioni. Si tratta di operazioni meritorie. Ma va detto subito che se si arriverà ad una forma di unione di svariate sigle, ciascuna impegnata a piantare i propri paletti per costruire il proprio (piccolo) recinto, verrà meno il senso principale dell'operazione, quello appunto di costruire una vasta area capace dell'analisi, dell'elaborazione, e dell'offerta di possibili risposte ai problemi di cui sopra. I temi vengono prima dei propri interessi di bottega, e vengono prima anche delle ideologie, che spostano l'asse verso la purezza d'intenti allontanandolo dall'arte di governare.

Un altro punto mi sembra essenziale: che si usi la veduta lunga anche nel merito dei temi, come dicevo sopra, che si punti l'attenzione sull'oggi. Non si può più parlare di economia soltanto sulla base dei contenuti tradizionali, e lo stesso vale per il lavoro, per l'ambiente, per le cause delle (nuove, appunto) povertà. I temi principali sono interdipendenti.  Nella visione tradizionale, troviamo una formula economica di successo, che consenta la crescita, distribuiamo in modo tendenzialmente equo (o più equo di quanto fa la destra) i profitti della crescita, costruiamo un sistema di welfare che incrementi la distribuzione del benessere sociale, cerchiamo di contenere gli impatti ambientali, e creiamo posti di lavoro. Questa visione è, per esempio, alla base dell'ultimo libro di Romano Prodi (dal bel titolo galileiano "Il piano inclinato", Il Mulino). Il suo contenuto è, ben inteso, come sempre di grande interesse e ricco di spunti. Contiene una serie di indicazioni che se attuate porterebbero il nostro Paese ad un livello ben diverso dall'attuale, perché consentirebbero al nostro Paese di avanzare, invece di rimanere fermo (o quasi, senza sottovalutare le cose buone che sono state fatte) o avviato in un declino che sicuramente può essere invertito - tenendo presente che un piano inclinato se invertito diventa una salita.
Fatte quelle cose, però, si tratta ancora di guardare avanti. Per impostare economia e società italiane con lo sguardo al futuro e' indispensabile analizzare l'interdipendenza dei vari temi, accanto ai nuovi aspetti che gli stessi hanno assunto nel corso del tempo. L'economia deve (e dovrà sempre più) parlare il linguaggio dell'economia verde, delle innovazioni di processo e di prodotto per il contenimento degli impatti ambientali, dell'efficienza energetica e delle fonti di energia rinnovabile, dell'economia circolare, dell'economia sociale che sta nascendo, da sola, dal basso, dei numerosi fattori comuni allo stato dell'ambiente, a partire dell'uso che si fa delle risorse. Bisogna occuparsi della riduzione del lavoro nelle società avanzate, conseguenza della digitalizzazione e delle nuove tecnologie, ragionando su come distribuire quello che può essere un beneficio e non soltanto un problema, ed è necessario affrontare il tema di come fenomeni in forte accelerazione come quello migratorio siano influenzati da desertificazione in conseguenza del cambiamento climatico, e non soltanto da guerre e conflitti locali. Il mondo sta cambiando, ed è soggetto ad evoluzioni che non erano - e spesso non sono - incluse nei modelli dell'economia classica, la società è in evoluzione secondo direttrici che esperti del settore tentano ora di interpretare, l'ambiente sotto la spinta antropica sta modificando i propri equilibri ed i propri sistemi secondo percorsi anch'essi allo studio ma assolutamente non trascurabili. Queste sono le condizioni di partenza di un futuro che dipenderà in grande misura dalle scelte che faremo noi oggi.

Sono in corso di elaborazione la Strategia Energetica Nazionale e la Strategia Energia e clima in ottemperanza dell'impegno preso con l'Accordo di Parigi stipulato alla COP21; la prima dal Ministero dello Sviluppo Economico, la seconda dal Ministero dell'Ambiente. Sicuramente c'è un raccordo fra i due Ministeri, ma questo è un esempio di separazione di tematiche che invece andrebbero insieme poiché sono strettamente interdipendenti. Forse, sarebbe stato meglio elaborare un unico piano per l'energia e per il clima portatore di una visione più ampia. Della SEN abbiamo già parlato in altri post, e ne parleremo ancora, ma mi limito ad osservare che le strategie energetiche e ambientali riguardano da vicino anche le politiche industriali che si intende portare avanti, grandi assenti da molto tempo che invece avrebbero bisogno di maggior attenzione.

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