martedì 21 settembre 2021

Le cause del rincaro delle bollette richiedono interventi ad ampio raggio

 Il gravoso rincaro delle bollette di luce e gas di cui si parla da qualche giorno ha le sue cause, e dovrebbe spingerci a rimettere mano al tema energetico nel nostro Paese, visto che un evento che tocca direttamente tutti noi può ricevere più attenzione che non gli indispensabili appunti sulla conversione alla sostenibilità dell’intero sistema.

La quota sarebbe notevole - si parla di un 30% o 40 % - e il Governo sta lavorando per contenere i rincari che ricadono direttamente sulle famiglie.

La questione della struttura della bolletta è uno degli aspetti da considerare, rivedendo le varie voci e riequilibrando i pesi, ed è auspicabile che si intervenga in modo razionale e non una tantum al bisogno. 

Naturalmente, l’altro punto da esaminare, il più corposo e pregnante, consiste nel sistema energetico stesso che porta calore, carburanti ed elettricità a coprire i bisogni dei cittadini, dell’industria, dell’agricoltura. Il cambiamento in corso da anni ai fini della sicurezza e della sostenibilità ambientale va tenuto costantemente d’occhio ma soprattutto va calibrato in modo tale che la transizione ecologica sia accettabile sotto ogni profilo a partire da quello sociale, e perché no, persino desiderabile se riesce a delineare una migliore qualità della vita e uno sviluppo privo delle drammatiche conseguenze ambientali e sanitarie che già stiamo sperimentando.

La transizione ecologica ha un costo - come molti stanno affermando - che sarà più alto se continuiamo a promuovere la “vecchia” economia. Nel recente periodo, il sistema energetico italiano ha visto il gas sorpassare il petrolio, e le fonti rinnovabili conquistare percentuali importanti. Dal punto di vista delle fonti primarie, questo però non basta a modificare sensibilmente la sostanza: sottraendo infatti una quota di circa il 20% sul totale proveniente da fonti rinnovabili (con cui abbiamo superato l’obiettivo comunitario del 17%), il restante 80% è energia di importazione, vale a dire gas e petrolio prevalentemente acquistati all’estero, oltre ad una piccola quota di energia elettrica dai Paesi vicini. Questo ci espone ad almeno due fattori incisivi: primo, il prezzo della fonte primaria, oggi in crescita con la ripresa mondiale dopo la pandemia, e secondo, il prezzo della CO2 emessa, ora consistente dopo la riforma del sistema europeo di scambio delle emissioni Ets. E’ chiaro che continuare ad operare come prima, almeno in parte, ci espone sia ai problemi che abbiamo sempre avuto sia a quelli nuovi generati dalle politiche che intendono abbattere le emissioni climalteranti. 

Il prezzo delle quote di CO2, per inciso, è passato nel giro di un anno da 20 ad oltre 50 Euro per tonnellata, un fatto voluto per far finalmente funzionare un meccanismo pensato per ridurre in misura consistente le emissioni, dopo anni in cui il valore estremamente basso vanificava il tutto. Questa è la strada intrapresa, e non si tornerà più indietro.

Dunque, per spendere meno e meglio dobbiamo impegnarci per cambiare il sistema, senza perdere mai il filo. In particolare, la quota delle rinnovabili deve aumentare, insieme all’efficienza a monte e a valle di produzione e consumi. Al contrario di quanto alcuni scrivono a proposito di un presunto salasso dovuto alle politiche ambientali, le fonti pulite sono le uniche che possono modificare radicalmente un sistema eccessivamente dipendente dall’estero, tenuto conto anche che gli oneri derivanti dagli impatti ambientali delle fonti fossili sono sempre più elevati e ricadono sulla collettività, se non in bolletta, attraverso la fiscalità generale. IL vero salasso ce lo proporrà il cambiamento del clima terrestre se non resteremo entro il livello di guardia di +1,5°C di innalzamento della temperatura media.


Le considerazioni geopolitiche, inoltre, non sono certo una nota a margine. Oltre il 40% del gas che consumiamo proviene da un unico Paese, la Russia. Questo ci espone a variazioni del prezzo legate eventualmente alla quantità che viene resa disponibile, cioè all’offerta. Non è un tema da poco per un Paese come il nostro (e per quasi tutta Europa), e non sarebbe certo un nucleare ormai chiuso da decenni a risolverlo. Se non si presenteranno novità clamorose come la fusione nucleare, per ora occorre ragionare bene su ciò che si può fare adesso - non fra quindici anni - e trovare le strade per realizzarlo. Diversificare i Paesi da cui acquistiamo il gas può essere utile, ma sul lungo periodo acquisire una maggiore indipendenza sarebbe un beneficio notevole.

Consumi efficienti quindi bassi, e rinnovabili in ogni settore, termico ed elettrico, con una rivoluzione nei trasporti che ci consenta finalmente di liberarci dalla dipendenza dalla benzina o dagli altri derivati del petrolio. Non si tratta di un compito facile. La transizione ecologica non è cosa facile. 


mercoledì 1 settembre 2021

Dove sono gli inquinatori?

 Si dice spesso che la questione ambientale è “trasversale” alle fasce della popolazione e alle sensibilità di ciascuno, ma i dati ci dicono che non è così, o almeno non lo è nella parte preminente della stessa, l’inquinamento ormai globale. Un articolo sul sito Qualenergia, dal titolo “Chi ha riempito l’aria di CO2? E’ un problema di classe” (indirizzo in calce), spiega in breve perché, riprendendo un'analisi di Oxfam redatta dallo Stockholm Environment Institute. 

L’articolo infatti illustra la differenza fra i macro dati che portano a ritenere i giganti asiatici Cina e India maggiori responsabili delle emissioni di gas ad effetto-serra e i dati specifici che portano a conclusioni molto diverse. Lo studio in oggetto non si limita ad analizzare le emissioni per Paesi del mondo, ma ricostruisce la provenienza delle emissioni mondiali dalle varie fasce di popolazione suddivise per reddito. L’analisi riguarda gli inquinanti emessi dal 1990 al 2015, un periodo storicamente molto recente quindi svincolato dal passato in cui sappiamo di essere stati noi occidentali (USA e Europa) i maggiori responsabili delle emissioni.

Il risultato è sconcertante: l’1% di umanità più ricca emette più CO2 della metà dell’umanità costituita dai più poveri. 

Nello specifico, i 63 milioni di persone (circa l’1% della popolazione) che guadagnano più di 100 mila dollari all’anno generano da soli il 15 % dei gas climaletranti annuali, mentre i 3,6 miliardi di persone (la metà della popolazione mondiale) che guadagnano meno di 2.000 dollari all’anno emettono il 7% dei composti surriscaldanti l’atmosfera. 

Abbassando il livello di ricchezza, il 10% della popolazione mondiale che guadagna annualmente più di 35.000 dollari emette la metà dei gas ad effetto-serra.


L’ambiente è anche un problema sociale. Se soltanto 63 milioni di persone sono capaci di inquinare di più, il doppio, della metà dell’intera popolazione mondiale significa che consumo delle risorse, usi delle stesse, ed emissione nell’ambiente degli scarti sono processi estremamente concentrati nella vita di pochi con conseguenze negative gravanti su tutti, e costituiscono perciò una forte ingiustizia sociale.  (Chiaro che la risposta non può essere quella di portare il resto della popolazione agli stessi livelli con l’economia tradizionale altrimenti bolliremmo tutti quanti nel giro di un mese. Questo è precisamente il tema non di questo ma di quasi tutti gli altri post di questo blog.)

Veniamo alla geografia. Dove si trovano i ricchissimi inquinatori? Non sono equamente distribuiti nei vari Paesi del mondo, al contrario si concentrano in alcuni luoghi. 

Infatti, la metà vivono in USA e UE, che però ospitano solo il 10% della popolazione mondiale. I restanti si suddividono nel resto del mondo, America, Medioriente, Cina e India. Il paradosso, ben noto, riguarda il fatto che le peggiori conseguenze del cambiamento climatico andranno (e già ora vanno) a ricadere su Paesi che hanno contribuito poco o nulla alle emissioni climalteranti, come l’Africa o il Sud-Est asiatico. 


Dunque i dati scorporati forniscono una lente d’ingrandimento che mostra una realtà ben diversa dalle apparenze. Una realtà dove la questione ambientale emerge con le sue vere caratteristiche: una fitta trama intrecciata in cui pochi grossi fili partono a formare il tessuto che produce moltissimi fili di scarto all’altro estremo. Il telaio è il Mondo.  Il rischio di sfracello è reale, sotto il peso di un tessuto divenuto così spesso da essere ormai insostenibile.


L’articolo di Qualenergia si trova al seguente indirizzo:


https://www.qualenergia.it/articoli/chi-ha-riempito-aria-co2-problema-classe/








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