martedì 12 novembre 2019

Rifugiati climatici

Invece di limitarsi a discutere se i migranti sono "economici" o sono profughi di guerra sarebbe bene allargare lo sguardo al presente - e orami al recente passato - per includere la qualifica di rifugiato ambientale fra le principali cause del fenomeno migratorio.

I cambiamenti in atto del sistema climatico si collocano all'origine di modifiche all'ambiente che localmente sono in grado di alterare equilibri delicati che sono stati per secoli alla base di economie nelle comunità. Il cambiamento del clima è oltretutto un fenomeno diseguale, per il quale le aree tropicali della Terra sono destinatarie delle maggiori conseguenze rispetto alle altre zone climatiche; le stesse zone sono per lo più abitate da popolazioni che vivono in difficoltà in Paesi poveri. Innalzamento del livello del mare, alluvioni, nubifragi e uragani, siccità e aumento delle aree desertiche, sono già oggi realtà nel Sud-Est asiatico, o in Africa. Lo sono anche in zone meno povere ma molto esposte come tutta l'area del Golfo del Messico, fra Messico appunto e Stati Uniti.

Per guardare al di là del Mediterraneo con un po' più di attenzione, occorre almeno includere la qualità dell'ambiente nell'area intorno al deserto del Sahara. Si tratta di una zona enorme, che va in latitudine dal Mediterraneo ai Paesi del centro dell'Africa, in longitudine dal Marocco all'Egitto. Da quest'area circostante il Sahara partono molti dei migranti che arrivano con mezzi di fortuna alle nostre coste, attraversando il Mediterraneo. Il cambiamento climatico incide già moltissimo sulle condizioni ambientali locali, dove siccità e desertificazione rendono impossibile l'agricoltura, difficoltoso l'allevamento del bestiame, e causano a lungo andare la frantumazione delle comunità locali, la perdita delle culture tradizionali, lo smembramento della società, con la fuga di coloro che possono alla ricerca di un mondo migliore nei Paesi più ricchi e più vicini, i Paesi europei. Non sono viaggi di piacere, quelli verso l'Europa, sono spostamenti con ragioni serissime, in un mondo diseguale dove la povertà e il disgregamento della propria società convivono con Paesi ricchi separati da un braccio di mare. Non che i secondi non soffrano diseguaglianze al loro interno, anzi, ma proprio l'immigrazione viene utilizzata da coloro che intendono conservarle per portare l'attenzione altrove.
Spesso, basterebbe ricostruire un ambiente con le qualità adatte alla vita per risolvere molti problemi, come ad esempio tenta di fare il Green Belt Movement ideato da Wangari Maathai in Kenya (indirizzo web in calce), arginando così il fenomeno della desertificazione e ricreando condizioni ospitali. Sull'efficacia delle barriere di vegetazioni ai margini dei deserti non mancano le perplessità, ma il coinvolgimento delle comunità locali per ripristinare la qualità di un territorio può fare la differenza grazie alla conoscenza del luogo che possiedono.

Due ricerche recenti, dell'FMI (Fondo Monetario Internazionale) dell'Università di Otago in Nuova Zelanda hanno mostrato che le tempeste, le alluvioni, le ondate di caldo e la siccità influenzano pesantemente le migrazioni. I ricercatori del FMI hanno esaminato i legami tra eventi atmosferici estremi e migrazioni in più di 100 Paesi per oltre tre decenni, scoprendo che "un aumento della temperatura e una maggiore incidenza di disastri meteorologici aumentano le percentuali di emigrazione". Per non parlare dell'innalzamento del livello dl mare, in grado di mobilitare milioni di persone e che colpirebbe direttamente anche il nostro Paese, con allagamento di vaste zone costiere, come uno studio recente dell'Enea ha dimostrato.

Se ne parla da anni, ma non si è ancora arrivati a riconoscere giuridicamente lo status di "rifugiato climatico". Al momento non esiste una definizione universalmente accettata per coloro che si spostano a causa delle conseguenze dei cambiamenti climatici. Spesso si utilizza il termine "rifugiati climatici", ma le Nazioni Unite non ne hanno mai approvato formalmente l’adozione. La Convenzione di Ginevra sullo statuto dei rifugiati del 1951 non considera i disastri causati dalle condizioni ambientali o climatiche come ragione per il riconoscimento del diritto d’asilo. All'Art. 1 della Convenzione, si chiarisce che la richiesta di protezione può essere fatta da “chiunque nel giustificato timore d’essere perseguitato per ragioni di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori dei suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti". In sostanza, i rifugiati climatici sono senza protezione giuridica internazionale.
I numeri però sono molto concreti: si parla di decine di milioni di persone, con previsioni in aumento. Lo United Nation High Commissioner for Refugee (UNHCR, Alto Commissariato ONU per i rifugiati, indirizzo in calce) stima che dal 2009 ad oggi una persona al secondo abbia perso la propria casa a causa di disastri naturali, per un totale di oltre 22 milioni di persone all'anno. Si tratta di stime davvero impressionanti nella loro portata, soprattutto se si tiene conto dell'andamento, che viene determinato in forte crescita.

Siamo di fronte ad un mondo che cambia, che lo fa velocemente, ma la direzione del cambiamento può essere almeno in parte determinata da noi, dalle nostre scelte, da quello che la comunità internazionale farà per limitare quanto possibile un cambiamento del sistema climatico che assume contorni sempre più preoccupanti e per ridurre le diseguaglianze.  Sono queste le vere cause di fenomeni migratori di dimensioni epocali e su di esse occorrerebbe agire per ottenere qualche risultato. Oltre, ovviamente, alla gestione del fenomeno a livello nazionale ed europeo, in cui si può fare molto senza chiudere i porti, ma da cui è necessario alzare lo sguardo per vedere il problema nel suo insieme.

Il sito del Green Belt Movement:

 http://www.greenbeltmovement.org

Il sito dell'Alto Commissariato ONU per i rifugiati:

http://www.unhcr.it





In evidenza

Tutte le stagioni in una settimana. E dovremo abituarci.

  Il cambiamento climatico presenta ormai con evidenza empirica praticamente tutte le caratteristiche previste da anni dai modelli climatici...

Più letti