mercoledì 27 settembre 2023

Abbiamo ancora bisogno dell’ambientalismo?

 Stiamo assistendo ad una sorta di polarizzazione degli atteggiamenti nei confronti del problema ambientale, con movimenti che attuano forme se non estreme comunque invasive ed eclatanti di protesta (blocco del traffico sui principali assi viari, vernice lavabile su opere d’arte, etc) ed esponenti del giornalismo ed opinionismo nei media che portano avanti una vera e propria crociata contro idee ed espressioni ambientaliste fatta di articoli, testi e dibattiti. Di certo una situazione simile non porta bene allo sviluppo di un approccio serio al tema dell’impatto antropico sull’ambiente, e sarebbe necessario un intervento nel dibattito capace di orientare l’attenzione verso il problema reale e le sue caratteristiche. Perché non lo si risolve paventando il peggio, e non lo si risolve negandolo. L’ambientalismo più razionale e fondato nei fatti oggettivi necessita di una scossa, e di un risveglio potente.


I contenuti non mancano. Oltre al tema del cambiamento climatico e del riscaldamento globale, ormai entrato nella consapevolezza diffusa se non altro perché stimabile ad occhio nell’evoluzione degli eventi meteorologici nel giro di pochi anni, se ne elencano molti altri, che vanno dalla riduzione dell’estensione delle foreste primarie, al calo della biodiversità, alla diffusione nell’ambiente marino e terrestre delle microplastiche, all’inquinamento di aria, acqua e suolo a livello locale e a livello planetario. L’influenza di quasi otto miliardi di persone ma soprattutto di un sistema di consumo di risorse e produzione di rifiuti che non ha eguali nella storia e, a conti fatti, ha prodotto ricchezza soltanto per una parte della popolazione mondiale impattando pesantemente su tutti sono effetti non più trascurabili. 


Per rendersi conto dell’estensione attuale delle foreste c’è una mappa interattiva molto interessante all’indirizzo riportato in calce, dove in verde scuro sono rappresentate le foreste intatte, in verde chiaro quelle non più vergini ma alterate o degradate, in altri colori quelle perdute. Ed è impressionante osservare che le foreste veramente primarie, cioè mai disboscate dall’uomo, sono rimaste poche e spesso separate a formare ecosistemi importantissimi ma non più direttamente connessi fra loro. I disboscamenti procedono da decenni, fra i contrasti di coloro che vorrebbero salvarle e coloro che, quando possono (si pensi all’Amazzonia in Brasile durante il governo Bolsonaro), decidono di utilizzarle come risorsa. Ma le foreste vergini sono una risorsa finita e non rinnovabile, che una volta distrutta non tornerà più se non abbiamo la pazienza di attendere alcune ere geologiche. 


La biodiversità, una bella parola che definisce la ricchezza di specie viventi del pianeta, è in calo continuo ad un ritmo elevatissimo. Si legge sul sito istituzionale dell’Ispra: “Diversi studi riportano che il numero delle specie viventi sul pianeta possa variare da 4 a 100 milioni. Solo una parte di esse, però (da 1,5 a 1,8 milioni), è attualmente conosciuta e, come dimostrano le scoperte recenti, è possibile che ci siano ancora mammiferi sfuggiti all’osservazione degli zoologi. Si ritiene che molte specie vegetali e animali di ambienti tropicali o marini non siano mai state osservate, per non parlare degli invertebrati e dei funghi.”

E ancora: “si stima che ogni giorno scompaiano circa 50 specie viventi. L’estinzione è un fatto naturale, che si è sempre verificato nella storia della Terra. Mediamente, una specie vive un milione di anni. Il problema è che attualmente la biodiversità si riduce a un ritmo da 100 a 1000 volte più elevato rispetto al ritmo ‘naturale’. Questo fa ritenere che siamo di fronte a un’estinzione delle specie superiore a quella che la Terra ha vissuto negli ultimi 65 milioni di anni, persino superiore a quella che ha segnato la fine dei dinosauri.”

In altre parole, ogni giorno scompaiono 50 specie viventi di cui spesso non conosciamo nemmeno l’esistenza! La velocità è talmente elevata che il ritmo dell’estinzione è paragonabile a quello che portò alla scomparsa dei dinosauri. Non c’è nemmeno bisogno dell’asteroide, facciamo tutto da soli.


Di inquinamento locale si parla da due secoli, almeno dall’invenzione della tonalità di colore denominata “fumo di Londra” (un grigio scuro), mentre di microplastiche si parla da tempi recenti. Si legge su National Geographic che “In uno degli ultimi conteggi, risalenti al 2022, gli scienziati giapponesi dell'Università di Kyushu hanno stimato la presenza di 24.400 miliardi di frammenti di microplastiche negli strati più superficiali degli oceani, l'equivalente di circa 30 miliardi di bottiglie da mezzo litro”.  Trenta miliardi di bottiglie di plastica che non vediamo nemmeno ed entrano nella catena alimentare fino al nostro piatto. Non si sa ancora con esattezza quali siano le conseguenze sulla salute.


Tralascio il clima e i gas climalteranti perché è uno degli argomenti più spesso affrontati in questo blog. 


Altro che “ecoballe”, siamo in una fase di grave ed esteso attacco allo stato dell’ambiente, cioè quel posto dove dobbiamo vivere, e dove siamo vissuti sin qui. E’ necessario mettere i piedi per terra e studiare i mezzi per ridurre gli impatti ambientali, senza estremismi o scenari irrealizzabili, e senza resistenze che non fanno che ampliare il problema. Probabilmente è normale che, di fronte a cambiamenti necessariamente importanti, si muovano gli estremi e soprattutto si mettano di traverso i difensori dello status quo, ma il tempo è l’altra variabile di cui spesso dimentichiamo l’importanza. 

L’ambientalismo scientifico è l’unica strada che può portarci fuori dalla gabbia in cui ci siamo infilati (per questo non rientra nei palinsesti televisivi e raramente sulla carta stampata), senza dimenticare, come scrisse Konrad Lorenz, che soltanto “rendendoci conto veramente di quanto è grande, di quanto è bello il nostro mondo” potremo non disperare.

Apriamo gli occhi e interveniamo prima che sia tardi. Sia che abbiamo o no la sensibilità di un Konrad Lorenz. 



Gli indirizzi dei siti menzionati:


https://intactforests.org/world.webmap.html


https://www.isprambiente.gov.it/it/attivita/biodiversita







mercoledì 13 settembre 2023

Una risorsa di plastica

 La filiera della plastica è, e può essere sempre più se ben gestita, un ambito fondamentale dell’economia circolare e in generale della green economy. La plastica non è una risorsa da eliminare, ma da utilizzare correttamente - va da sè che il primo passo consiste nel non disperderla nell’ambiente - creando un sistema che consenta il miglior utilizzo possibile minimizzando gli impatti ambientali. Un circolo chiuso, nel quadro dell’Economia Circolare.

Si è appena conclusa (lo scorso 8 settembre) Plast, la manifestazione dedicata al settore, alla Fiera di Milano e dopo 5 anni di assenza, a cui hanno partecipato 1.510 espositori da 55 Paesi. Gli esempi di riciclo sono numerosissimi e spesso sorprendenti, come il livello di innovazione tecnologica, molto avanzato. La fiera ha offerto persino un servizio esclusivo di calcolo della propria “Carbon Footprint di Organizzazione” (Impronta di Carbonio aziendale) per verificare la sostenibilità dell’impresa.


Il ramo presenta dati economici positivi. Secondo quanto riferisce Il Sole24ore, uno studio di MECS Amaplast sul settore delle tecnologie per la plastica e la gomma, il fatturato nel 2022 è stato di oltre 4 miliardi di Euro, con un aumento dell’8% rispetto all’anno precedente, in particolare con un export positivo e fortemente in crescita, +8,5%.

Da un’altra analisi effettuata da Teh Ambrosetti emerge il fattore moltiplicatore del settore,  risultando infatti che ogni 100 Euro investiti se ne generano €218, mentre contemporaneamente si stima di poter incrementare il recupero da ora al 2030 fino ad oltre il 19%, raggiungendo l’obiettivo del 10% dei rifiuti in discarica con 5 anni di anticipo. 


Naturalmente, tutto ciò non significa che non sia utile e benefico ridurre l’utilizzo della plastica nella nostra vita quotidiana: rinunciare alla plastica monouso, al sacchetto sostituito da una borsa riutilizzabile, alla bottiglietta quando si può portare una borraccia, al contenitore sempre nuovo quando sono in vendita prodotti sfusi o confezioni separabili, sono comportamenti virtuosi che qualora venissero portati avanti da tutti porterebbero a ridurre considerevolmente gli sprechi e migliorare la gestione dei rifiuti. Ma la completa eliminazione della plastica dal nostro mondo sarebbe impossibile se non dannosa allo stato attuale, e una corretta gestione circolare di quanto ci serve comunque sembra un obiettivo concreto e raggiungibile. 


La Green Economy si fonda anche su questo, e rappresenta una prospettiva di crescita non fittizia, creata ad arte, o costruita sulla creazione di nuovi bisogni spesso realmente inutili, ma necessaria.


Per saperne di più:


https://www.plastonline.org


https://www.ilsole24ore.com/art/plastica-italia-filiera-25-miliardi-fatturato-centro-questione-ambientale-AFYEoYk?refresh_ce=1








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