domenica 9 luglio 2017

Fonti rinnovabili crescono

Nel caldo di queste giornate quasi non servono più i dati scientifici: possiamo ormai farci le statistiche autonomamente sull'andamento del cambiamento climatico. Ogni anno segue il precedente con i record raggiunti in qualche aspetto del clima stesso, il mese più caldo, l'anno più caldo, il periodo meno piovoso, etc. Ormai lo si può percepire senza bisogno di strumenti: il clima sta cambiando ad una velocità senza precedenti. La primavera appena trascorsa è stata caratterizzata da poche precipitazioni, è stata preceduta da un inverno mite, ed è stata seguita da un anticipo d'estate iniziato in maggio con temperature altissime ovunque in Italia che ancora persistono (in luglio). I dati informano che il mese di giugno appena trascorso è stato uno dei più caldi, in stretta competizione con il giugno 2003, l'anno della grande afa sahariana di oltre tre mesi di durata.

Dagli accordi internazionali sui cambiamenti climatici gli USA, come è noto, si sono sfilati, ma di certo non si sfileranno dai cambiamenti climatici stessi che insistono anche sul loro territorio. Secondo la NOAA, gli US hanno visto il secondo anno più caldo mai registrato, e hanno speso 9 miliardi di dollari in disastri ambientali inclusi 3 tornado devastanti.

La buona notizia è che anche in America il mercato delle rinnovabili si espande e la produzione cresce.  Le fonti rinnovabili non sono certamente l'unica soluzione al problema del cambiamento climatico, ma sono uno dei principali tasselli di una composizione molteplice finalizzata a ridurre e contenere le emissioni di gas climalteranti che modificano la composizione dell'atmosfera fino a causare un surriscaldamento che interessa tutto il pianeta.
Per la prima volta in oltre trent'anni negli Stati Uniti a marzo e ad aprile le fonti rinnovabili hanno generato più elettricità degli impianti nucleari, secondo i dati forniti dall'EIA, l'Energy Information Administration, l'agenzia statistica indipendente del Dipartimento Usa dell'energia.
L'evento dipenderebbe da due fattori di carattere opposto:  la crescita delle rinnovabili e i programmi di manutenzione a cui vengono sottoposti gli impianti nucleari in primavera e autunno, quando la domanda elettrica complessiva è più bassa rispetto all'estate e all'inverno.
Comunque, un aumento della produzione dell'eolico che del fotovoltaico, unitamente all'aumento registrato nell'idroelettrico grazie a piogge e nevicate più intense negli Stati occidentali degli Usa durante l'inverno scorso, hanno comportato una crescita della generazione elettrica rinnovabile in primavera. Nello stesso periodo, la produzione di elettricità da centrali nucleari in aprile è stata la più bassa dal 2014, determinando così il primato delle rinnovabili.

Per quanto riguarda le rinnovabili elettriche nel mondo, è uscito il rapporto “Renewable Energy Statistics 2017 Yearbook” di IRENA, secondo il quale in 10 anni sarebbe raddoppiata la potenza. Dalle statistiche che riguardano circa 100 Paesi e le singole tecnologie utilizzate, emerge che nel
2016 sono stati superati i 2.000 GW installati. In 10 anni la potenza cumulativa delle rinnovabili è raddoppiata fino ad arrivare complessivamente a 2.008 GW, con un incremento di 161 GW. La generazione elettrica da rinnovabili nel 2015 ha raggiunto la cifra di 5.512 TWh. L'aumento risulta essere del 3,4% rispetto al 2014. Si procede verso i 6.000 TWh, una buona prospettiva.
In 9 anni si è registrato un incremento di quasi 2.000 TWh per quanto riguarda la produzione elettrica da rinnovabili, mentre la fonte verde maggiormente utilizzata è stata l’idroelettrico, per circa il 70%. Il 15% proviene invece dall’eolico.
Soltanto nell'anno 2015 si è avuto un relativo rallentamento dell’incremento annuale nella produzione idroelettrica a livello mondiale. In compenso si è registrata una crescita del solare del 13%, e dell’eolico, con il 15%.

martedì 20 giugno 2017

Si fa presto a dire progressista (per un centrosinistra ampio che guardi avanti)

Il periodo storico che stiamo vivendo è inevitabilmente caratterizzato da cambiamento. Alcuni sintomi portano a tale conclusione: la crisi economica che perdura da anni e colpisce in misura diversa ma con eguale diffusione i Paesi europei ed il mondo occidentale, e che sembra sempre più una crisi di sistema, le grandi migrazioni di persone da Paesi poveri o sedi di conflitti armati verso Paesi più ricchi, la crescita delle diseguaglianze e la polarizzazione dei redditi,  la crisi ambientale che dopo due secoli di prelievo di risorse in quantità ben superiori a quanto mai fatto prima e rilascio di rifiuti riguarda l'intero pianeta ed i suoi equilibri ecologici, l'evidente difficoltà nel gestire fenomeni come la digitalizzazione con conseguente riduzione della necessità di lavoro o la globalizzazione, segnalano la presenza di una fase evolutiva che richiede attenzione e analisi. Se il cambiamento avverrà per il meglio, o per il peggio, saremo noi, l'attuale generazione, in larga misura a deciderlo, visto che il processo evolutivo in questione non è esclusivamente determinato da condizioni di partenza ma è largamente influenzato da decisioni politiche.
La capacità di vedere le cose con lungimiranza ha perciò un'importanza speciale, e riguarda tutte le formazioni politiche, ed in particolare il centrosinistra, per sua natura "progressista". Per fare questo è necessario almeno impostare un'analisi dei fenomeni in corso, per partire, e farla seguire da un'elaborazione fondata sull'oggi, non sul passato, con tutto il rispetto per il passato medesimo, per poi giungere alla costruzione di una proposta politica. Questo compito spetta, nel nostro Paese, ad un centrosinistra largo, inclusivo, che sappia anteporre gli interessi comuni ai particolarismi di varia natura che hanno sempre bloccato i processi di questo tipo sul nascere. La necessità di un'operazione di questo genere è avvalorata dalla crisi identitaria di cui la sinistra soffre, dall'offuscamento dei suoi contorni, dal conseguente allontanamento di moltissime persone che non si sentono più rappresentate e spesso fanno persino fatica a capire quale tipo di rappresentanza si offre loro.

Qualcosa si muove, nell'area di centrosinistra del nostro Paese, con tentativi di costruire unità a partire da divisioni. Si tratta di operazioni meritorie. Ma va detto subito che se si arriverà ad una forma di unione di svariate sigle, ciascuna impegnata a piantare i propri paletti per costruire il proprio (piccolo) recinto, verrà meno il senso principale dell'operazione, quello appunto di costruire una vasta area capace dell'analisi, dell'elaborazione, e dell'offerta di possibili risposte ai problemi di cui sopra. I temi vengono prima dei propri interessi di bottega, e vengono prima anche delle ideologie, che spostano l'asse verso la purezza d'intenti allontanandolo dall'arte di governare.

Un altro punto mi sembra essenziale: che si usi la veduta lunga anche nel merito dei temi, come dicevo sopra, che si punti l'attenzione sull'oggi. Non si può più parlare di economia soltanto sulla base dei contenuti tradizionali, e lo stesso vale per il lavoro, per l'ambiente, per le cause delle (nuove, appunto) povertà. I temi principali sono interdipendenti.  Nella visione tradizionale, troviamo una formula economica di successo, che consenta la crescita, distribuiamo in modo tendenzialmente equo (o più equo di quanto fa la destra) i profitti della crescita, costruiamo un sistema di welfare che incrementi la distribuzione del benessere sociale, cerchiamo di contenere gli impatti ambientali, e creiamo posti di lavoro. Questa visione è, per esempio, alla base dell'ultimo libro di Romano Prodi (dal bel titolo galileiano "Il piano inclinato", Il Mulino). Il suo contenuto è, ben inteso, come sempre di grande interesse e ricco di spunti. Contiene una serie di indicazioni che se attuate porterebbero il nostro Paese ad un livello ben diverso dall'attuale, perché consentirebbero al nostro Paese di avanzare, invece di rimanere fermo (o quasi, senza sottovalutare le cose buone che sono state fatte) o avviato in un declino che sicuramente può essere invertito - tenendo presente che un piano inclinato se invertito diventa una salita.
Fatte quelle cose, però, si tratta ancora di guardare avanti. Per impostare economia e società italiane con lo sguardo al futuro e' indispensabile analizzare l'interdipendenza dei vari temi, accanto ai nuovi aspetti che gli stessi hanno assunto nel corso del tempo. L'economia deve (e dovrà sempre più) parlare il linguaggio dell'economia verde, delle innovazioni di processo e di prodotto per il contenimento degli impatti ambientali, dell'efficienza energetica e delle fonti di energia rinnovabile, dell'economia circolare, dell'economia sociale che sta nascendo, da sola, dal basso, dei numerosi fattori comuni allo stato dell'ambiente, a partire dell'uso che si fa delle risorse. Bisogna occuparsi della riduzione del lavoro nelle società avanzate, conseguenza della digitalizzazione e delle nuove tecnologie, ragionando su come distribuire quello che può essere un beneficio e non soltanto un problema, ed è necessario affrontare il tema di come fenomeni in forte accelerazione come quello migratorio siano influenzati da desertificazione in conseguenza del cambiamento climatico, e non soltanto da guerre e conflitti locali. Il mondo sta cambiando, ed è soggetto ad evoluzioni che non erano - e spesso non sono - incluse nei modelli dell'economia classica, la società è in evoluzione secondo direttrici che esperti del settore tentano ora di interpretare, l'ambiente sotto la spinta antropica sta modificando i propri equilibri ed i propri sistemi secondo percorsi anch'essi allo studio ma assolutamente non trascurabili. Queste sono le condizioni di partenza di un futuro che dipenderà in grande misura dalle scelte che faremo noi oggi.

Sono in corso di elaborazione la Strategia Energetica Nazionale e la Strategia Energia e clima in ottemperanza dell'impegno preso con l'Accordo di Parigi stipulato alla COP21; la prima dal Ministero dello Sviluppo Economico, la seconda dal Ministero dell'Ambiente. Sicuramente c'è un raccordo fra i due Ministeri, ma questo è un esempio di separazione di tematiche che invece andrebbero insieme poiché sono strettamente interdipendenti. Forse, sarebbe stato meglio elaborare un unico piano per l'energia e per il clima portatore di una visione più ampia. Della SEN abbiamo già parlato in altri post, e ne parleremo ancora, ma mi limito ad osservare che le strategie energetiche e ambientali riguardano da vicino anche le politiche industriali che si intende portare avanti, grandi assenti da molto tempo che invece avrebbero bisogno di maggior attenzione.

lunedì 12 giugno 2017

Concluso il G7 di Bologna con un documento comune (con postilla USA)

E' terminato con un documento votato all'unanimità il G7 sull'Ambiente tenuto a Bologna domenica 11 e lunedì 12 giugno, dopo un'intensa settimana "verde" ricca di incontri e dibattiti tenutisi in città. Gli USA, come era annunciato e persino prevedibile, hanno però indicato la loro diversa posizione con una postilla, una nota, in cui affermano di non aderire alla sezione del comunicato relativo al cambiamento climatico e alle banche multilaterali di sviluppo.
Nella postilla, annotata nella sezione 2 del documento dedicata al cambiamento climatico, si legge: "Noi gli Stati Uniti d'America continuiamo a dimostrare attraverso l'azione, avendo ridotto la nostra impronta di CO2, come dimostrato dal raggiungimento a livello nazionale dei livelli di CO2 pre-1994. Gli Stati Uniti continueranno a impegnarsi con i partner internazionali chiave in un modo che sia coerente con le nostre priorità nazionali, preservando sia una forte economia che un ambiente salubre. Di conseguenza, noi gli Stati Uniti non aderiamo a queste sezioni del comunicato sul clima e le MDB (banche multilaterali di sviluppo, n.d.r.), agendo così rispetto al nostro recente annuncio di ritirarci e cessare immediatamente l'attuazione dell'accordo di Parigi e gli impegni finanziari associati". La sezione 2 del documento comune è firmata soltanto dai ministri degli altri sei paesi del G7, e dall'Unione Europea.

Il documento finale è notevole nei suoi contenuti, considerando tutte le difficoltà relative alla ricerca di un accordo e di un impegno fattivo comune alle economie più sviluppate del pianeta su temi ambientali. Lo si può scaricare all'indirizzo in basso. Credo che si possa affermare che il Governo guidato da Gentiloni, ed il Ministro dell'Ambiente Gian Luca Galletti, abbiano fatto un buon lavoro nell'appuntamento G7 in generale, ed in quello ambientale in particolare. Bologna è stata vetrina nazionale ed internazionale per una settimana sui temi "verdi" e su tutti gli argomenti legati ai temi ambientali a largo raggio, dall'economia ai rifiuti, dall'energia ai mari e agli oceani, fino al cambiamento climatico, vero clou della manifestazione e tema evidentemente piuttosto ostico per i Paesi coinvolti per le implicazioni di carattere economico e industriale.
Un annesso al comunicato finale adotta la "Road map di Bologna", un'intesa della durata di cinque anni, sottoposta a revisione, atta a compiere "passi ulteriori per far aumentare l'efficienza nell'uso delle risorse". Una road map che vuol essere "un documento 'vivente' che dia priorità alle azioni che facciano avanzare la gestione dei materiali basata sul loro ciclo vitale" e "le 3R", cioè riduzione, riuso e riciclo.

Politicamente, è evidente che gli Usa sono isolati e che gli altri Sei andranno avanti tenendo fede agli impegni sul clima assunti con l'Accordo di Parigi. Gli stessi non sono rinegoziabili. Gli Stati Uniti, dal canto loro, non hanno saputo superare un atteggiamento che li contraddistingue da sempre, e che li vede garanti di una forma di libertà presunta che non può sottostare alle regole della comunità internazionale. L'amministrazione precedente aveva fatto una scelta diversa, condivisa da molti anche negli US, ma non da tutti e non soltanto per il merito della questione ma anche per la difficoltà insita nel riconoscere un ruolo regolatorio necessariamente autorevole alla comunità internazionale.
I ponti comunque non sono stati tagliati. L'impegno per la tutela del sistema climatico è troppo importante sia per il mantenimento dell'ambiente in cui viviamo, sia al fine di programmare un futuro desiderabile, in cui economia, tecnologia, società, sviluppo siano propriamente colti nel loro effettivo legame e affrontati con coscienza della grandissima sfida che pongono all'umanità.

Il documento finale si può scaricare ai seguenti indirizzi:

http://www.minambiente.it/comunicati/il-comunicato-finale-del-g7


http://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio_immagini/Galletti/G7/communique_g7_environment_-_bologna.pdf

lunedì 5 giugno 2017

G7 dell'Ambiente mentre gli US si sfilano dall'Accordo di Parigi

Mentre a Bologna si sta svolgendo la settimana ricca di appuntamenti sui temi ambientali che culminerà con il G7 dell'Ambiente i prossimi 11 e 12 giugno, sono intervenuti alcuni fatti notevoli, fra cui senz'altro il ritiro da parte di Donald Trump dell'adesione degli Stati Uniti all'Accordo di Parigi. Un fatto di cui si è parlato molto su cui vale la pena fare il punto.

Innanzitutto, l'aspetto legale, riguardante un accordo che si era voluto vincolante. Gli USA hanno aderito pochi mesi prima che finisse il mandato di Barack Obama e della sua amministrazione, poi sostituiti da Donald Trump, che invece non ne vuole sapere. Questo alternarsi di posizioni così diverse su temi che riguardano tutti costituisce un pericoloso precedente per la comunità internazionale, che vede limitata la capacità di impegnarsi dei propri e degli altrui governi su questioni ritenute fondamentali, superata dagli interessi politici interni locali. Altri potrebbero seguire gli USA, in una corsa al ribasso con conseguenze nefaste. La buona notizia è che nessuno per ora sembra volerlo fare, e le dichiarazioni contro al decisione del Presidente USA si sono sprecate. L'Accordo dunque è e resterà in vigore, anche senza la partecipazione di uno dei Paesi maggiormente inquinanti del mondo.
In secondo luogo, le conseguenze interne agli Stati Uniti stanno fiorendo con una velocità mai vista prima, e sono tutte di segno contrario alla scelta di Trump: numerose amministrazioni cittadine e Stati importanti come la California hanno annunciato che rispetteranno l'accordo, mentre imprese ad alta tecnologia e innovazione stanno protestando per le nuove strade che si aprono alle vecchie manifatture vc e alle energie più "sporche". Questo potrebbe essere l'inizio di un fronte ambientalista USA più forte e decisivo di quanto si sia mai visto in precedenza, in cui aziende, amministrazioni e ambientalisti perseguono sostanzialmente obiettivi molto simili, o addirittura comuni.
Pero ora, però, la leadership sui temi ambientali - che contrariamente a quanto sostengono loro, gli US non hanno mai avuto - resta in capo all'Europa, che se togliesse di mezzo definitivamente nazionalismi e populismi interni ad ogni Paese diventerebbe in breve un player di prima grandezza sul piano mondiale.

Ma che cos'è l'Accordo di Parigi, e perché ci si batte tanto per la sua implementazione? Ricordo in breve che si tratta di un accordo a cui hanno aderito 195 Paesi (praticamente tutta la comunità internazionale) avente lo scopo di ridurre significativamente le emissioni di anidride carbonica ed altri gas che vanno ad alterare la composizione atmosferica, fino a causare un cambiamento del sistema climatico mondiale quale non si è mai avuto prima nella storia umana. Non lo si è mai avuto prima nei termini della sua intensità e della sua velocità, mai così elevate in precedenza, in presenza di sostanze climalteranti capaci di restare nell'atmosfera per secoli, influenzando il mondo nel futuro. L'Accordo si basa sull'aumento della temperatura globale media, e non sulle emissioni che sarebbe stata scelta più stringente, che dovrebbe restare entro 2°C di incremento, e tendenzialmente meglio se entro 1,5°C.  Considerando che siamo già ora oltre 0,7°C di incremento, si capisce che la sfida posta e notevole. Per raggiungere l'obiettivo gli Stati devono predisporre dei Piani di intervento che mostrino la volontà di agire e i risultati che ciascun Paese intende raggiungere. Gli ambiti di intervento riguardano un po' tutti i settori, da quello energetico, a quello industriale, a quello dei trasporti, e dell'agricoltura.
Gli impegni nazionali saranno resi noti e rivisti ogni 5 anni per renderli più ambiziosi, facendo il punto sui progressi fatti, e nel quadro di responsabilizzazione di ogni Paese viene rafforzato il sistema di compensazioni economiche che servono ad aiutare in Paesi in via di sviluppo per la mitigazione e l'adattamento con aiuti concreti. Vengono posti in risalto il ruolo dello sviluppo tecnologico e il ruolo della conservazione delle foreste.

Gli esiti ci parlano di un mondo del futuro, più pulito e rinnovabile, ambientalmente sostenibile, e non del passato con le miniere di carbone, le ciminiere fumanti, lo smog.
Che soltanto gli Stati Uniti si rifiutino di fare questa scelta sembra quasi un paradosso, visto che spesso le nuove tecnologie, comprese quelle a basso impatto, vengono dalla loro ricerca industriale, e gli stessi dati sul cambiamento del clima in atto provengono sovente da istituti di ricerca statunitensi. Resta da sperare che tecnologia, pensiero innovatore, rispetto per l'ambiente abbiano il sopravvento nonostante il veto della politica, di una politica chiusa, retriva, ultimo affanno di un mondo superato.

_

Il 5 giugno Piazza Maggiore a Bologna sarà sede di un concerto straordinario, Concerto per la Terra, la sera successiva del 6 giugno ci si trova in Piazza Nettuno per una fiaccolata in difesa del futuro di noi tutti organizzata dal PD bolognese, e queste sono solo alcune delle numerosissime iniziative in programma in questi giorni.

martedì 30 maggio 2017

G7 dell'Ambiente a Bologna, fra ostacoli e indifferibilità dei temi




Una grande occasione per un confronto ad alto livello sui temi ambientali si presenterà i prossimi 11 e 12 giugno a Bologna, quando si terrà il G7 dell’Ambiente, un vertice con i Ministri dell’Ambiente voluto in città dal nostro Ministro Gian Luca Galletti. Fra essi, si annovera anche il responsabile degli Stati Uniti, Paese che intende uscire dall’accordo di Parigi a protezione del clima contro il riscaldamento globale.

E’ un’occasione importante, ed è bellissimo che si svolga a Bologna. Ne condivido la scelta e l’impostazione. La cosa più importante, però, è che non si tratti di una vetrina ma di un confronto vero, capace di portare risultati concreti.
Riguardo i temi sul tavolo, non c’è che l’imbarazzo della scelta, fra cambiamenti climatici, inquinamenti locali – che non sono più tanto “locali”, come la qualità dell’aria nella Pianura Padana o in altre grandi aree d’Europa come il bacino della Ruhr o i Paesi Bassi – grandi impianti inquinanti, fonti energetiche fossili, rifiuti nucleari e impianti nucleari obsoleti, inquinamento dell’acqua, perdita di biodiversità, taglio delle foreste, commercio di animali selvatici, etc. Temi importanti, che da molti anni si collocano fra le prime preoccupazioni dei cittadini, ma che continuano ad essere considerati in subordine rispetto ad altri dalla politica, e dalla cultura in genere. Temi sottovalutati da un vuoto innanzitutto culturale costruito da una politica chiusa a riccio sui propri schemi vetusti, che troppo spesso interviene soltanto per contenere la portata di provvedimenti di rilievo e orientarli in favore di scelte tradizionali, rinviando un processo che invece andrebbe favorito.
Si può invece fare moltissimo di quanto serve in termini sia di protezione sia di crescita e sviluppo, con la creazione di posti di lavoro utili, invece che di disoccupazione e “meccanismi flessibili” che dovrebbero favorire l’occupazione senza uno straccio di politica industriale.

A Bologna si preparano anche le contestazioni con una manifestazione per domenica 11 giugno, a cui parteciperanno numerose sigle ed associazioni. Il Ministro Galletti ha paventato l’eventualità di disordini (secondo quanto riportato da alcuni giornali).   Manifestare per ottenere risultati migliori su temi come quelli ambientali, sottovalutati dai partiti e dalla politica in genere, è un bene e un fatto molto positivo se l’espressione del proprio punto di vista viene incanalata e volta esclusivamente all’arricchimento del dibattito al fine di raggiungere obiettivi migliori. Il punto è e deve restare questo: il confronto tematico nel merito delle questioni. Il problema ambientale, per sua natura, è pieno di contenuti scientifici, tecnici, specifici, dunque non è di facile risoluzione, e non si presta ad interpretazioni semplicistiche o superficiali. Va affrontato entrando nel merito. Anche nei confronti degli Stati Uniti: non va dimenticato che un’amministrazione refrattaria alle politiche di protezione ambientale come quella attuale è stata preceduta da Obama, e soprattutto che l’America ha espresso autorevoli ambientalisti come Al Gore, Vicepresidente durante il governo di Bill Clinton, Premio Nobel per la  Pace proprio per il suo impegno ambientale, per un soffio (o forse per altro, nei mesi in cui il conteggio dei voti nella Florida governata dal fratello del suo avversario, George Bush non arrivava mai ad una conclusione accettata per poche centinaia di voti) mancato Presidente. Non va dimenticato, inoltre, che le tecnologie nuove e meno impattanti procedono nonostante tutto, nonostante presidenti recalcitranti e carbone a basso prezzo.  

Per contro, non va dimenticato che troppo spesso estremizzazioni poco fondate di questioni ambientali hanno portato acqua al mulino dei detrattori, che hanno trovato terreno per sostenere le loro tesi basate sugli errori degli altri. L’ambientalismo italiano ha vissuto anche questo, autocostruendosi ostacoli che si sono rivelati importanti battute d’arresto.
Insomma, che G7 sia, nel merito e senza ricette precostituite e inderogabili (che di solito si rivelano minestre riscaldate) tenendo conto che la verità in tasca non la possiede nessuno, e che proprio l’importanza dei temi ambientali, unita alla loro indifferibilità, richiede senso di responsabilità  e razionalità da parte di tutti.



martedì 23 maggio 2017

Il valore della biodiversità (e le condizioni umane)



1.

La biodiversità, ovvero la diversità biologica ricca e varia della Terra è in continuo calo per una serie di ragioni gravi e diffuse. Ogni anno la Giornata Mondiale della Biodiversità dell’ONU, che si celebra il 22 maggio con centinaia di iniziative in tutto il mondo, cerca di portare l’attenzione sul problema, ma si tratta di una questione complessa al momento di difficile soluzione.

Sono circa 13 milioni le specie, tra flora e fauna, che si stima abitino la Terra e di cui conosciamo soltanto una piccola parte, meno di due milioni.  Si tratta del patrimonio naturale del nostro pianeta, vario, unico, frutto di una lunghissima evoluzione durata oltre quattro miliardi di anni. Si tratta delle basi su cui abbiamo costruito la civiltà, creato una cultura, sostenuto l’alimentazione e la società di milioni e poi miliardi di persone per millenni. Si tratta delle risorse che servono all’industria, da quella meccanica a quella farmaceutica. Si tratta infine della bellezza di un ambiente straordinario nella sua normalità, quello terrestre.

Il valore della biodiversità non è monetizzabile, ma almeno parte di esso è stato esaminato dal punto di vista economico. L’evoluzione dell’economia umana infatti, vede oggi il capitale naturale come primo fattore limitante. Secondo uno studio dell’Unep (il programma delle Nazioni Unite per l’ambiente) “Dead planet, living planet”, pubblicato nel 2010, la biodiversità e gli ecosistemi in buono stato forniscono all’umanità servizi per un valore stimato in 72 mila miliardi di dollari ogni anno. Tenendo conto che nel 2010 il Pil mondiale si attestava intorno ai 64,7 mila miliardi, il valore del capitale naturale e dei servizi che fornisce supera il prodotto lordo delle attività umane.

 

La biodiversità però è gravemente minacciata, sebbene per la maggior parte sia ancora sconosciuta. Le conseguenze delle attività umane condotte in modo non sostenibile sono pesanti. Le Nazioni Unite sottolineano che l'abbondanza di specie sta diminuendo, con stime che indicano un calo di addirittura il 40% tra il 1970 e il 2000. Consumi non sostenibili stanno riducendo le risorse, anche biologiche, e superando la capacità della natura terrestre di recuperare e mantenere una condizione di equilibrio. Oggi praticamente la metà della superficie delle terre emerse del pianeta può considerarsi completamente trasformata in suolo utile alle attività umane. Solo negli ultimi 20 anni è stata convertita una superficie pari a due terzi dell'Australia. Fra le cause, il consumo di suolo per le più svariate attività, le conseguenze dei cambiamenti climatici, le invasioni di specie "aliene" in territori diversi, inquinamenti locali di aria, acqua e suolo, fenomeni capaci di trasformare interi ecosistemi senza che sia possibile alcun grado di adattamento per l’ecosistema precedente.

Tutto ciò influenza anche le condizioni umane, con il consumo delle risorse che perciò sono sempre meno disponibili, o in modo diretto, se si pensa che il 70% dei poveri del mondo vive in aree rurali e dipende direttamente dalla diversità biologica del loro territorio per la loro sopravvivenza. Proteggere natura e biodiversità è essenziale alla vita, compresa quella umana, ed ha riflessi diretti su fenomeni di grande attualità come le migrazioni di migliaia di individui che spesso fuggono da condizioni ambientali locali pessime.

Ogni mancato intervento in favore della conservazione della biodiversità può causare conseguenze gravissime sul grado di benessere dell’umanità, fino a mettere a rischio la sua stessa sussistenza. Forse, dobbiamo smettere di pensare che la Natura sia al nostro servizio, per entrare in un’ottica in cui noi stessi e la Natura siamo interdipendenti in maniera inscindibile.

2.

Dal 26 al 28 maggio Legambiente organizza “Spiagge e fondali puliti”, l’iniziativa volta a liberare le spiagge e i fondali dai rifiuti abbandonati. Appuntamento dal 26 al 28 maggio con oltre 300 iniziative in tutta Italia di pulizia straordinaria.

Per maggiori informazioni:


martedì 16 maggio 2017

Presentata in Parlamento la nuova Strategia Energetica Nazionale 2017



La Strategia Energetica Nazionale 2017 sta prendendo forma. Dopo l’audizione parlamentare del primo di marzo scorso, il 10 maggio, di fronte alle Commissioni riunite Ambiente e Attività Produttive della Camera, si è svolta la seconda audizione dei Ministri Carlo Calenda (Sviluppo Economico) e Gian Luca Galletti (Ambiente).
Come recita il testo delle nuove slides (scaricabili all’indirizzo in calce), assai più corposo del precedente, dalla prima audizione parlamentare ad oggi sono stati sviluppati i contenuti preliminari della SEN 2017.  La Strategia Energetica Nazionale è un fondamentale documento programmatico sull’energia che si prevede verrà aggiornato nel 2020, e poi nel 2023.
A partire da ora, saranno soltanto 30 i giorni disponibili per la consultazione.

Sono già emersi i primi commenti in proposito, da parte degli stakeholders coinvolti, o semplicemente da coloro che seguono il tema. Il fatto che si tratti di un tema a forte caratterizzazione tecnica lo rende un po’ tradizionalmente ostico perciò scarsamente diffuso, mentre in realtà si tratta di uno dei maggiori interessi che riguardano la nazione, l’Europa, e noi tutti.
Alla lettura delle slides, una premessa incoraggiante va fatta. Seguendo da vent’anni gli scenari di politica energetica delineati di volta in volta dai vari governi che se ne sono occupati nel nostro Paese – considerati nel contesto dell’Unione Europea – mi viene quasi spontaneo rilevare il cambiamento che progressivamente ha assunto il percorso riguardante l’energia: da tesi “fossili”, con impostazioni fortemente consumistiche, costruite sulla base di un’ottica che associava alti consumi energetici a sviluppo economico e civile, siamo passati lentamente ma con costanza a tesi maggiormente “rinnovabili”, fondate su criteri di promozione dell’efficienza e del risparmio a tutela dell’ambiente, in un’ottica che associa consumi efficienti e rinnovabili a sviluppo economico e civile. Un cambiamento non di poco conto, che viene spesso definito un “cambio di paradigma” rimarcandone l’importanza e la nettezza; un cambiamento che non ha ancora raggiunto l’obiettivo, ma che è sicuramente un processo in atto. Tesi un tempo sostenute da pochi “ambientalisti” oggi sono scritte sui documenti ministeriali o comunitari, e sui trattati internazionali. Il cammino è ancora lungo (si può fare di meglio? Certamente , si può sempre fare di meglio), ma la strada è stata intrapresa. Questa nuova SEN, nel complesso e per ora (visto che non è ancora definitiva), vede alcuni punti da approfondire e migliorare su un impianto sostanzialmente corretto, e sicuramente migliorativo rispetto ad altre pianificazioni in materia viste in passato.

Ad un primo esame, la nuova SEN presenta una serie di caratteristiche interessanti e alcune criticità, collocate su una linea di fondo che si può considerare positivamente.
La prima opzione che emerge con evidenza è la prospettiva di terminare il ricorso al carbone tra il 2025 e il 2030. Vengono presentati tre scenari con uscita parziale e con uscita totale dal carbone, con la seconda che ci verrebbe a costare fra i 2,3 e i 2,7 miliardi di euro in investimenti in sicurezza e adeguatezza, con investimenti sulla rete o in nuove centrali e infrastrutture energetiche necessarie. Questo punto viene ovviamente apprezzato, almeno dalle associazioni ambientaliste: smettere il ricorso al carbone per produrre energia significa eliminare la fonte energetica più inquinante.

Il gas naturale resta fra le principali risorse, vista sia nell’ottica di sostegno alle rinnovabili, sia in quella della sicurezza dell’approvvigionamento.  Si prevede l’apporto dalle nuove linee di importazione, in vista anche delle scadenze di contratti a lungo termine, e si prevede un aumento delle importazioni di GNL per sfruttare l'opportunità di un mercato in oversupply fino a metà anni '20.
Le slides prendono in considerazione anche il settore trasporti, uno dei più problematici sul piano dell’adeguamento agli obiettivi ambientali, dove si parla di biocombustibili nell’attesa anche del decreto sul biometano (in verità, atteso da tempo), mentre gli obiettivi sull’elettrico sono piuttosto vaghi, in assenza di riferimenti ad eventuali incentivazioni. Questo aspetto richiede un approfondimento, visto che un’elettrizzazione spinta del parco veicolare italiano incide ovviamente sul sistema elettrico.

Riguardo le fonti rinnovabili, gli obiettivi sono in linea con quelli europei: sui consumi complessivi lordi al 2030 si prevede un 27,0% (ad oggi la stima è del 17,5%). Differenziando gli obiettivi per settore, sull’elettrico il 33,5% attuale dovrebbe diventare 48-50%, sulla climatizzazione si passerebbe dal 19,2% attuale al 28-30%, sui trasporti dal 6,4% (bassissimo dato attuale) al 17-19%.
Nella nuova SEN si parla inoltre di promuovere i grandi impianti fotovoltaici, introducendo contratti a lungo termine da attribuire tramite aste, mentre per i piccoli impianti è prevista la “promozione dell’autoconsumo”.

Il contesto in cui si opera nella produzione elettrica vede già da tempo una riduzione del parco termoelettrico, con una tendenza in atto che pone un tema di adeguatezza, anche nella gestione delle fonti rinnovabili, che sono variabili per loro natura.

Al fine di migliorare l’efficienza energetica in ogni settore, si ipotizza l’introduzione di un Fondo di garanzia a sostegno degli interventi di efficienza energetica nell’edilizia, con il coinvolgimento di istituti finanziari per un eco-prestito a tasso agevolato. Si pensa anche a stabilizzare il sistema delle detrazioni fiscali, con una revisione degli stessi. E’ chiaro che questi aspetti devono essere approfonditi, in particolare se finalizzati allo scopo di mettere in atto meccanismi capaci di smuovere gli investimenti per migliorare l’efficienza ed il risparmio energetico.

Nel documento non c’è alcun cenno alle trivellazioni.

Seguiremo gli sviluppi. Il materiale presentato alle Audizioni parlamentari si può scaricare ai seguenti indirizzi:







giovedì 11 maggio 2017

Pubblicato dal Ministero dell'Ambiente il Primo Rapporto sullo stato del Capitale Naturale



In relazione al post del 29 aprile sul lavoro del comitato istituito per studiare il Capitale Naturale del nostro Paese, segnalo che è pubblicato sul sito del ministero dell’Ambiente il primo Rapporto sullo Stato del Capitale Naturale, consegnato a febbraio al Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e al Ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Il documento affronta il legame tra lo stato dell’ecosistema, il benessere sociale e le prospettive economiche.

Secondo quanto si legge sul sito, il documento è frutto del lavoro del Comitato per il Capitale Naturale, cui hanno partecipato nove ministeri, cinque istituzioni di ricerca pubbliche, Regioni, Comuni e nove esperti scientifici, il Rapporto raccoglie le informazioni rilevabili sullo stato di conservazione di acqua, suolo, aria, biodiversità ed ecosistemi, avviando un modello di valutazione del Capitale Naturale. Questo viene inquadrato all'interno di cinque Ecoregioni terrestri (Alpina, Padana, Appenninica, Mediterranea Tirrenica e Mediterranea Adriatica) e le Ecoregioni marine del Mediterraneo che interessano l’Italia (Mare Adriatico, Mare Ionio e Mediterraneo Occidentale). Dall’analisi emerge che l’Italia è uno dei paesi più ricchi di biodiversità, con 6.700 specie di flora vascolare e oltre 58.000 faunistiche, ma che sono molti i fattori di pressione antropica: tra questi i cambiamenti climatici, l’inquinamento, i rifiuti, il consumo di suolo e l’abusivismo edilizio, gli incendi dei boschi e la perdita di biodiversità marina, l’invasione delle specie aliene, lo spreco di acqua, la copertura artificiale del suolo che determina distruzione del paesaggio.

Il Rapporto completo sullo stato del Capitale Naturale si scarica al seguente indirizzo:




lunedì 8 maggio 2017

Il nuovo pacchetto energia della Commissione Europea

La Commissione Europea ha presentato un pacchetto di misure "per mantenere l'Unione Europea competitiva mentre la transizione verso le energie pulite sta cambiando i mercati energetici globali", come si legge sul sito (gli indirizzi sono in calce).
Il nuovo pacchetto energia, denominato “Energia pulita per tutti gli europei”, delinea le nuove vie comunitarie che seguiranno le rinnovabili, l'efficienza, il mercato elettrico e i trasporti, attraverso una serie di documenti che compongono il quadro d'intervento della Commissione Europea sul tema energetico.
La Commissione afferma la volontà che l'UE sia guida del processo transitorio verso un sistema ad energia pulita, e non sia soltanto capace di adattarvisi. Da ciò consegue l'impegno di tagliare di almeno il 40% al 2030 le emissioni di CO2, accompagnandolo da un processo di modernizzazione dell'economia che consenta crescita e lavoro per tutti i cittadini dell'Unione. Gli obiettivi da raggiungere in tal quadro sono tre: porre al primo posto l'efficienza energetica, raggiungere la leadership nelle energie rinnovabili, e costruire un mercato favorevole per i consumatori.
Tra gli elementi più qualificanti del pacchetto energia, l’introduzione di un obiettivo vincolante per l’efficienza energetica: una riduzione del 30% dei consumi energetici entro il 2030.  Si tratta di un provvedimento atteso da tempo. Nessuna modifica invece per le rinnovabili, il cui traguardo rimane al  27%, nonostante l’UE possa contare fin da oggi su una percentuale intorno al 24%. La scelta sembra dunque quella di non accelerare sulle energie verdi, considerazione che appare supportata anche dalla proposta di aggiornamento della Direttiva rinnovabili, dove viene inserita una misura sulla priorità di dispaccio, che prevede che nei Paesi con una quota di rinnovabili già ampia (del 15%) i nuovi impianti eolici e fotovoltaici non abbiano più diritto di precedenza sulle fonti fossili. La disposizione continuerà a valere solo per le centrali già esistenti e su piccola scala.
In favore delle fonti fossili, invece, va l’estensione a tutti gli Stati membri del capacity payment, vincolato però a precisi limiti di emissione: gli impianti non devono emettere più di 550g di CO2 per kWh prodotto. Una misura che colpisce le centrali più vecchie ed obsolete, aprendo invece alla remunerazione della capacità impiegata per quelle più recenti.
Per raggiungere il nuovo obiettivo di efficenza energetica del 30% al 2030, il pacchetto energia richiede anche un impegno sull'efficentamento degli edifici, a partire dagli standard per gli edifici ad energia quasi zero (Near Zero Energy Buildings), che include per i nuovi edifici la generazione di elettricità sul posto, e le infrastrutture necessarie alla mobilità elettrica, oltre a sistemi per riscaldamento, produzione di acqua calda, condizionamento e raffrescamento.
Anche i trasporti sono inclusi nei nuovi provvedimenti. Per esempio, si prevede che la mobilità elettrica entri a pieno titolo nella progettazione edilizia urbana. Secondo le nuove misure, tutti gli edifici non residenziali, di nuova costruzione o sottoposti a ristrutturazione importante, qualora dispongano di più di dieci posti auto, devono predisporne almeno uno ogni dieci con punti di ricarica elettrica. Gli Stati membri possono a loro discrezione estendere o meno questa normativa alle PMI.
La Commissione Europea pone, infine, l'accento sulla riforma del mercato dell'energia che dovrebbe modificare il ruolo dei consumatori europei, rendendoli "protagonisti centrali sui mercati dell’energia del futuro". I consumatori, infatti, secondo le nuove norme avranno la possibilità di produrre e vendere energia autonomamente, grazie a misure di revisione del mercato elettrico, mentre maggior conoscenza e chiarezza dovrebbe giungere dalla diffusione di contatori intelligenti, bollette chiare e condizioni di commutazione più facili. Negli intenti della Commissione si rileva anche l'indicazione del passaggio alla concorrenza effettiva, rimuovendo l'intervento pubblico sui prezzi, da realizzarsi secondo un percorso graduale.
La Commissione europea prevede che il pacchetto invernale mobiliti fino a 177 miliardi di euro di investimenti pubblici e privati all’anno a partire dal 2021. Se le stime venissero rispettate si produrrebbe un aumento dell’1% del PIL nel prossimo decennio.
Per quanto riguarda la transizione alle fonti rinnovabili, si delinea un quadro a luci ed ombre. Alcuni provvedimenti sono sicuramente positivi, altri più discutibili nell'ottica della decarbonizzazione del sistema energetico.
Per i dettagli, si possono consultare i seguenti siti, dove è possibile scaricare i documenti relativi:

https://ec.europa.eu/energy/en/news/clean-energy-all-europeans-top-topic-eu-energy-council


https://ec.europa.eu/energy/en/news/commission-proposes-new-rules-consumer-centred-clean-energy-transition


lunedì 1 maggio 2017

Ancora una volta, Primarie di successo per il PD - con una sinistra interna che non ha ancora scelto la strada che conduce al futuro

Quasi 2 milioni di votanti, Matteo Renzi vince con il 70,0%, segue Andrea Orlando con il 19,5%, terzo Michele Emiliano con il 10,5%. Queste sono le cifre delle elezioni primarie del Partito Democratico, e i caratteri di un'iniziativa democratica che non ha eguali nel nostro Paese, che tiene banco anche nelle fasi dove l'entusiasmo non è certo al massimo, che riesce a mobilitare milioni di persone fra elettori e militanti del partito, che offre spunti di analisi per giorni permettendo confronti politici che altrimenti non ci sarebbero, ed al confronto della quale i quattro voti grillini in rete - che dovrebbero costituire esempio e forma di democrazia diretta - spariscono nel nulla, insieme ai contenuti della loro inconsistente proposta politica.
Domenica 30 aprile è stata una bella giornata, e se le cifre della partecipazione ci ricordano che ce ne sono state di migliori, una prima ancorchè superficiale analisi politica ci mostra immediatamente che le difficoltà, a partire da una infelice scissione per passare ad un altrettanto infelice referendum, non hanno intaccato il cuore dell'iniziativa, il senso diffusamente percepito della necessità di prendervi parte, la volontà di crederci ancora. Senz'altro analisi più approfondite ci verranno proposte, ma sarà difficile contestare la tenuta dell'iniziativa.

Le percentuali ottenute dai tre candidati ci presentano, senza dubbio, un Segretario molto forte, anche se in un contesto cambiato in modo notevole. Matteo Renzi resta forte nel PD, partito che si ritrova più coeso di quanto lo sia mai stato in precedenza, a seguito di un vero e proprio processo di assestamento. Nonostante tutto - le difficoltà non sono mancate, e gli insuccessi come la prova referendaria - Renzi resta forte anche fra gli elettori, che sono diminuiti ma non in misura tale da stemperare la valenza delle primarie. Questo è indubbiamente il suo momento.
Ma il PD (ed i suoi elettori) non è un monolito: il 19,5+10,5 che fa 30, ottenuto da Orlando e da Emiliano è una quota non trascurabile che si avvicina ad un terzo di coloro che sono andati a votare e che si richiamano al partito. Si tratta di componenti del partito e degli elettori che si richiamano a valori e politiche collocabili più a sinistra di Renzi per quanto riguarda il voto ad Orlando, e con una spiccata trama territoriale unita ad una di tipo movimentista, creatasi a seguito del referendum sulle trivelle, per quanto riguarda il voto ad Emiliano. Mentre la seconda è nettamente minoritaria nel partito (e circoscrivibile se si evitassero errori conseguenza della carenza congenita di una politica energetica, senza nulla togliere all'impegno di Emiliano), la prima non lo è e non sarà riassorbibile con qualche stratagemma. Un'area politica vera che si è ritrovata nella candidatura di Orlando, che esiste ed è attiva.

Le prossime considerazioni vorrei farle proprio su quest'area politica, che si richiama alla sinistra. Si tratta di un'area che può costituire nel partito un elemento di valenza politica e culturale significativo. Si tratta però di un'area politica che ha subito una scissione di non poco conto, e che da tempo risulta minoritaria e alquanto circoscritta. Aggiungo che in Emilia-Romagna, dove da sempre la partecipazione è alta e di solito il sostegno alla sinistra lo è altrettanto, i votanti sono stati circa la metà, un segnale che si somma a quello delle scorse elezioni regionali, praticamente disertate dall'elettorato. Se è in atto, come molti ritengono, una "scissione silenziosa,", credo che ne vadano indagate le cause, che non possono essere individuabili soltanto nella linea politica maggioritaria del PD, ma nell'insieme del partito. Se si desidera una linea politica diversa, evidentemente si deve lavorare per essa.

Non penso, come sostiene qualcuno, che la sinistra esista come fatto di natura, penso invece che essa sia una costruzione della cultura umana. Una elevata costruzione della cultura umana. Come la democrazia, per esempio. Come tale, essa attraversa difficoltà di ogni sorta, presenta errori, inciampi, ostacoli, ed è naturale che sia così. Ogni volta andrebbero ripensati, e se questo non avviene, è comprensibile. Ma quando si sommano per anni, arrivando ad una effettiva riduzione dell'attività che investe ogni profilo, senza che si trovi mai un momento di riflessione, senza che si tracci una linea di demarcazione, senza che si effettuino analisi sui percorsi effettuati, e una volta fatto tutto questo, si piantino i semi che in futuro possano germogliare, si arriva ad un punto fermo che è destinato ad essere, forzatamente, asfittico e improduttivo. La sinistra, con i sentimenti e con la cultura che si porta dietro, va coltivata come una pianta. Altrimenti muore.
La rigenerazione comporta però una rottura, un momento di stasi, che nessuno è stato ancora in grado di compiere. Tracciare una linea rossa fra passato e presente, e si ricomincia. Mai questa necessità è stata più pressante. La sinistra delle chiusure - quando non delle espulsioni - delle correnti gestite in proprio, la sinistra fondata esclusivamente su logiche di potere non ha futuro per almeno due motivi: il primo, che con tali modalità si chiude il recinto impedendo ad idee nuove di entrarvi, togliendo acqua alla sorgente più importante, il secondo, che si tratta di metodi e procedure che nell'era di Internet, ovvero della comunicazione in libera circolazione, nessuno è più disposto ad accettare, e non saranno nemmeno più inseribili nella stessa struttura mentale dei più giovani. 

Questa operazione di apertura, di analisi, di esame degli errori, di elaborazione, di proposta, di svecchiamento dei metodi non l'ha ancora fatta nessuno, almeno non nei termini netti in cui andrebbe fatta. Purtroppo, in questo modo con l'acqua sporca se ne va anche il bambino, ovvero un enorme patrimonio culturale, di idee, di valori su cui sarebbe utile costruire, invece di lasciare ammuffire per tenere in piedi la terzultima sottocorrente che dice di richiamarsi a quei valori senza che nessuno si ricordi perché.

Questa sinistra (con i suoi leaders) ha bisogno di aprire gli occhi sul mondo di oggi, e incominciare a fare i conti con la società attuale e non con quella dei propri desideri. Tenendo conto che siamo ancora un ragionevole ed apprezzabile numero di militanti disposti a collaborare.

sabato 29 aprile 2017

1. Il Capitale Naturale. 2. Data Center meteo europeo a Bologna

1.
Secondo quanto riportato sul sito del Ministero dell'Ambiente, il primo "Rapporto sullo Stato del Capitale Naturale in Italia" è stato consegnato dal ministro dell'Ambiente Gian Luca Galletti al Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e al ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan. La notizia è positiva in quanto si andrebbe a colmare una grave lacuna di lunga durata, ma non si conoscono ancora i contenuti del Rapporto visto che non ne è stato ancora divulgato il testo. Attendiamo la sua pubblicazione.
Sempre secondo quanto si legge sul sito, il documento è frutto di un lungo lavoro svolto dal Comitato per il Capitale Naturale, composto di istituzioni ed esperti del mondo della ricerca, con l’obiettivo di affrontare il tema del legame tra lo stato dell’ecosistema, il benessere sociale e le prospettive economiche.
Il Rapporto raccoglie e mette a sistema le informazioni sullo stato di conservazione delle componenti del capitale naturale: acqua, suolo, aria, biodiversità ed ecosistemi, avvia un modello di valutazione del Capitale Naturale, e apre a un'analisi degli effetti delle politiche pubbliche. Pare che il nostro Paese possieda un Capitale Naturale di notevole qualità e quantità, un patrimonio il cui valore non è stato ancora interamente rilevato nei sistemi contabili e statistici. Nel contempo, sono numerosi e incisivi i fattori di pressione antropica che incidono sul valore del Capitale Naturale nelle cinque Ecoregioni individuate: l'inquinamento atmosferico, gli effetti dei mutamenti climatici, l'accumulo di rifiuti non biodegradabili, il consumo di suolo, l'abusivismo edilizio, gli incendi boschivi, la perdita di biodiversità marina, l'introduzione di specie aliene invasive, lo sfruttamento non sostenibili di minerali e acqua, i cambiamenti di destinazione d'uso del territorio, la copertura artificiale del suolo con distruzione del paesaggio. Questioni certo di non poco conto.
Per seguire una procedura efficace, il Comitato individua alcune azioni da intraprendere: adottare un piano d'azione per il Capitale Naturale, sottoporre  preventivamente il DEF (Documento di Economia e Finanza) e le misure da inserire nel PNR (Piano Nazionale di Riforma) a una valutazione di coerenza rispetto agli obiettivi dell'Agenda 2030 e della Strategia di Sviluppo sostenibile, integrare la valutazione del Capitale Naturale nella pianificazione territoriale anche con lo strumento delle procedure di valutazione di piani, programmi e progetti, implementare le disposizioni riguardanti i criteri degli appalti di fornitura per il Green Public Procurement, rafforzare il sistema delle aree protette a terra e mare.

Previsto per la prima volta dal Collegato Ambientale alla Legge di Stabilità, l'origine del Rapporto sul Capitale Naturale si colloca nel 2013, quando Andrea Orlando era Ministro dell'Ambiente e presentò il Collegato ambientale come “l’Agenda verde del governo”, all’interno del quale veniva istituito proprio il Comitato per il capitale naturale, responsabile della redazione dell’omonimo rapporto. I tempi poi sono stati piuttosto lunghi, con il Collegato ambientale definitivamente approvato solo a fine 2015, e l’insediamento del Comitato nell’ottobre 2016.
L'iniziativa è stata positiva, si tratterà di vedere ora come verrà portata avanti, tenendo conto dell'estrema importanza della costruzione di un quadro realistico della situazione ambientale in un Paese come il nostro, dove non mancano gli interventi invasivi sul territorio, le irregolarità, gli elementi di un modello di sviluppo aggressivo, fino ad arrivare ai veri e propri reati ambientali.

Per saperne di più si può consultare il sito del Ministero dell'Ambiente:

www.minambiente.it

2.
Big Data in Emilia-Romagna, che si conferma regione di punta dello sviluppo avanzato in Italia.
Da Reading (UK) a Bologna, il Data center del Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine (ECMWF) si trasferisce per decisione presa dal proprio Council, superando altre possibili candidate ad ospitare il Centro. Da ora a giugno verranno definiti gli aspetti tecnici legati all'accordo.
Il Council del ECMWF ha riconosciuto la validità del progetto italiano, promosso dalla Regione Emilia-Romagna e sostenuto dal Governo nazionale, che mette a disposizione servizi e infrastrutture logistiche di alto livello nella sede del Tecnopolo di Bologna all’ex manifattura Tabacchi, ed offre rilevanti opportunità di sinergie tecnico-scientifiche che si potranno realizzare a Bologna con i centri di ricerca presenti sul territorio regionale e nazionale.
Una notizia davvero ottima, per l'Emilia-Romagna e per l'Italia tutta.

Maggiori informazioni in proposito si trovano sul sito del Comune di Bologna al seguente indirizzo:

www.comune.bologna.it/news/bologna-il-centro-meteo-europeo


Il TAP e la questione energetico-ambientale

In questo periodo, alcuni fatti riguardanti l'energia e l'ambiente si offrono alla nostra riflessione. I dati sulla riduzione della superficie ghiacciata del Mare Artico confermano l'andamento degli anni scorsi, ad una velocità preoccupante a causa del riscaldamento globale causato a sua volta dalle emissioni da fonte energetica fossile, gli scienziati che studiano la Grande Barriera Corallina australiana, sede di un'enorme quota di biodiversità, ci informano che è da ritenersi praticamente morta, sempre a causa del riscaldamento globale, avendo superato il limite a cui si ritiene che possa rigenerarsi, il Presidente degli USA Donald Trump prevede di ritornare al carbone, creando nuovi posti di lavoro nelle miniere, e cancella le norme che Obama aveva voluto per contenere le emissioni nocive e climalteranti dell'industria e della trasformazione di energia statunitense (peraltro mai entrate in vigore), in Puglia si verificano manifestazioni e scontri a seguito dei lavori per realizzare la tratta italiana del TAP, il gasdotto Trans Adriatic Pipeline.

Alcuni leaders dell'Unione Europea hanno praticamente detto a Trump che se il mondo finirà sarà causa sua (nientemeno), e ancora una volta l'UE mostra di essere l'avanguardia mondiale delle politiche ambientali - in un contesto, ovviamente, industrializzato e di elevati consumi.
L'idea di tornare al carbone è la peggiore che potesse venire in mente ad un Presidente di un Paese altamente inquinante come gli Stati Uniti, un ritorno al passato del diciottesimo e diciannovesimo secolo con i minatori, il grisù, e le polveri di carbone, e al suo cospetto brilla di luce propria l'importanza delle scelte dell'UE, che dovrebbe trovare il modo di tirare fuori un po' di orgoglio per sè stessa, come sicuramente merita.

Sul nostro territorio si fanno i contestati lavori per il TAP, un gasdotto che attraverso la rete italiana porterà al nostro Paese ed in Europa il gas estratto in Azerbaigian, diversificando i Paesi di approvvigionamento del continente, che attualmente dipende in buona parte dalla Russia.
Per fare una valutazione sul tema, sono necessarie alcune informazioni. TAP trasporterà circa 9-10 miliardi di metri cubi all'anno di gas naturale. L’opera è stata finanziata con l’aiuto della Banca Europea per gli Investimenti, anche grazie al fatto che l’Unione Europea ha riconosciuto al TAP lo status di “Progetto di Interesse Comune”, perché funzionale all'apertura del Corridoio Meridionale del Gas, uno dei corridoi energetici considerati prioritari dall'Unione per il conseguimento degli obiettivi di politica energetica. Il progetto, perciò, non è soltanto italiano, ma si inserisce in un quadro comunitario di progressiva integrazione delle politiche energetiche.
Per quanto riguarda il nostro Paese, attualmente l’Italia ha un fabbisogno di circa 65-70 miliardi di metri cubi di gas all’anno, per la maggior parte importati, in particolare da Algeria, e per quasi la metà, dalla Russia. La capacità massima di importazione delle attuali linee di rifornimento supera i 130 miliardi di metri cubi, praticamente il doppio del fabbisogno. Tutti i gasdotti in esercizio, quelli in via di realizzazione e quelli previsti sono elencati, con le rispettive capacità ricettive, sul sito del Ministero dello Sviluppo Economico, all'indirizzo riportato in calce.
Il Tap aumenterà di circa 9-10 miliardi la capacità complessiva, una quota quindi piuttosto limitata. Il consumo di gas nel nostro Paese è inoltre in calo da anni, sia per la crisi economica sia per la concorrenza delle fonti energetiche rinnovabili. Perciò, non viene realizzato per aumentare le nostre disponibilità di gas.
La ragione per la sua realizzazione si trova in un altro aspetto della questione energetica: l'eccessiva dipendenza da un piccolo gruppo di Paesi da cui importiamo il gas naturale, ed in particolare dalla Russia, da cui il nostro Paese riceve quasi la metà del gas che consuma. La scelta di allargare il novero dei Paesi da cui importare il gas è perciò una scelta di politica energetica, con vari aspetti in gioco, dal ruolo politico che si intende svolgere nel mondo, alla propria sicurezza energetica. Ad essa, si aggiunge la volontà di fare del nostro Paese un hub europeo del gas.

Tutto ciò non significa che non si debba seguire anche altre strade per ridurre gli impatti e aumentare la sicurezza energetica con fonti interne, come per esempio il biogas. Il biogas è una miscela di gas in cui prevale il metano, come nel gas naturale, ed è generato dalla digestione di biomassa da parte di microrganismi, e può collocarsi opportunamente in associazione all'attività agricola. Gli impianti a biogas sono una risorsa, se ben costruiti e dimensionati in relazione al territorio. Oltretutto si tratta di una risorsa rinnovabile, se la biomassa utilizzata è la stessa che in un secondo tempo cresce assorbendo CO2 nella stessa quantità emessa con la combustione, e se la stessa proviene dal territorio limitrofo all'impianto, in modo da ridurne al minimo il trasporto.

La soluzione ideale per l'energia non esiste, ma si può affermare che il gas è assai meglio del carbone, e che il biogas è assai meglio del gas. Il tutto, se vengono seguiti opportuni criteri nella realizzazione degli impianti. Si può anche considerare il fatto che una dipendenza eccessiva dall'estero è condizionante sul piano politico e fonte di incertezza sugli approvvigionamenti.
A questo punto, se si condividono queste tesi, si tratta di scegliere il modo migliore per contenere gli impatti sui territori, che si tratti del TAP o di un impianto a biogas, fermo restando che anche l'impatto zero non esiste. Ed essendo consapevoli che la ricerca di uno sviluppo realmente sostenibile è una delle maggiori sfide che l'umanità si sia mai trovata ad affrontare.

Il sito del Ministero dello Sviluppo Economico con le infrastrutture di importazione del gas naturale:

http://www.sviluppoeconomico.gov.it/index.php/it/energia/gas-naturale-e-petrolio/gas-naturale/importazione


Luci ed ombre nelle politiche ambientali

E' uscito il 6 febbraio il rapporto sull'attuazione delle politiche ambientali nell'UE redatto dalla Commissione Europea "Improving the implementation of European environmental policy" (indirizzo del sito della Commissione Europea in calce). Lo scopo del rapporto, dichiarato sul sito della Commissione, è trovare nuove modalità per aiutare gli Stati membri ad applicare le regole dell'Unione, che vanno a beneficio dei cittadini, delle amministrazioni, dell'economia. Il rapporto mostra, per esempio, che la prevenzione della produzione di rifiuti resta una sfida importante per tutti gli Stati membri, o che il problema della qualità dell'aria affligge 23 Stati su 28, mentre una serie di cause all'origine delle problematiche rilevate accomunano tutti: scarso coordinamento fra i diversi livelli amministrativi, insufficienza di dati, di conoscenze, di capacità.
Risulta dal Rapporto che il nostro Paese presenta tre principali questioni da risolvere per allinearsi agli standard richiesti in sede comunitaria:  gestione delle acque reflue, soprattutto al Sud, inquinamento atmosferico, in questo caso al Nord, e lacune nel processo di designazione dei siti 'Natura 2000'. Si tratta, sottolinea l'esecutivo UE, di problemi la cui soluzione è resa più difficile da "conflitti di sovrapposizione" tra amministrazioni locali e quella centrale.
Nel documento si segnalano anche alcuni punti di eccellenza italiani, come gli approcci innovativi nei progetti Life e gli indicatori di Benessere equo e sostenibile (Bes) sviluppati da Istat e Cnel. I problemi però restano e riguardano temi importanti, come rifiuti, acque reflue, smog nei centri urbani e designazione delle Zone Speciali di Conservazione previste dalla Direttiva Habitat, su cui Bruxelles ha aperto diverse procedure di infrazione.
Il rapporto sottolinea anche il significato per l'economia di corrette politiche ambientali: l'attuazione della legislazione comunitaria in materia potrebbe far risparmiare ben 50 miliardi di euro ogni anno, in costi diretti, e indiretti come le spese sanitarie dovute a danni di origine ambientale.

Un riconoscimento delle conseguenze economiche e finanziarie di rilevanti tematiche ambientali come il cambiamento climatico viene anche dalla Banca d'Italia. Si legge su Wall Street Italia che i rischi legati al cambiamento climatico possono avere conseguenze di una certa portata anche sull’economia e i mercati finanziari non ne tengono conto, e a dirlo è il vicedirettore generale della Banca d’Italia, Luigi Federico Signorini, aprendo i lavori di un convegno sulla finanza sostenibile.
“I mercati probabilmente stanno sottoprezzando i rischi legati al clima perché pensano che gli effetti si materializzeranno soltanto nel lungo termine. La crisi finanziaria del 2007 ci ricorda i costi sociali ed economici del sottovalutare e sottoprezzare il rischio”. Signorini ha sottolineato che il mondo si sta riscaldando ed è onere delle autorità di vigilanza finanziaria prendersi cura di tali problemi. “Questo perché gli effetti degli eventi naturali collegati al clima hanno potenzialmente conseguenze di vasta portata per l’economia e il sistema finanziario”.
Si tratta di un tema di vasta portata in cui la questione del rischio, reale e percepito, lega l'andamento dei mercati alle conoscenze scientifiche sui cambiamenti che interessano - e interesseranno in futuro - il sistema climatico.
Tali cambiamenti influenzano sicuramente l'economia, su scala globale e su scala locale, come da anni ha mostrato il noto Rapporto Stern (Stern Rewiew Report, 2006). In uno dei suoi libri, "Un piano per salvare il pianeta" del 2009, Nicholas Stern (Professore di Economia alla London School of Economics, ed ex vicepresidente della Banca Mondiale - non precisamente un organismo di estremisti ambientalisti) scrive: "Qualcuno penserà che le turbolenze nei mercati finanziari del 2007 e del 2008 e il probabile rallentamento dell'economia mondiale dovrebbero consentire di rimandare l'azione per contenere i cambiamenti climatici, ma si tratta di un errore madornale. La lezione da trarre dall'attuale disastro finanziario dovrebbe essere che il pericolo sta nell'ignorare o nel non riuscire a cogliere l'accumularsi dei fattori di rischio. La crisi economica di oggi si andava preparando da quindici o venti anni. Se rimandassimo ulteriormente l'azione contro i cambiamenti climatici per altri quindici o venti anni, ci troveremmo poi a un punto di partenza molto più difficile e rischioso."
Tutto ciò è ancora valido. In questi anni, sono stati fatti alcuni passi in avanti, ma non bastano certo. E' indispensabile proseguire nella strada scelta consolidandone le caratteristiche già presenti e sperimentandone di nuove, senza dimenticare che il rischio di un'involuzione è sempre presente.

I siti citati sono:
la Commissione Europea www.ec.europa.eu
Wall Street It. wallstreetitalia.com


In evidenza

Tutte le stagioni in una settimana. E dovremo abituarci.

  Il cambiamento climatico presenta ormai con evidenza empirica praticamente tutte le caratteristiche previste da anni dai modelli climatici...

Più letti