martedì 29 settembre 2020

Politica e scienza, un binomio indispensabile

Si dice spesso che il cambiamento climatico, essendo un fenomeno in divenire, viene difficilmente compreso e ancor più stimato nella sua reale pericolosità. Di conseguenza, gli scienziati si sono attivati per rendere più facile ed immediata la comprensione del processo di mutazione in corso di un sistema complesso quale quello climatico, anche con l’aiuto della rete. 

Il Centro Europeo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) ha attivato un osservatorio che guarda al futuro, non per nulla denominato Foresight, con tanto di sito web, bello e articolato (in inglese). Riporto come sempre gli indirizzi in calce. 

La pagina di oggi - consultata il 29 settembre - si apre con un’analisi sugli eventi meteorologici estremi e la possibilità di predirli, con un articolo sul futuro della plastica, un pezzo che mette in luce il ruolo del metano nel climate change, un altro il ruolo delle balene nel sequestro del carbonio, e infine un dossier che indaga la relazione fra temperature più calde, clima più arido, e migrazioni che ormai coinvolgono milioni di persone. La stima riportata, molto variabile, va da diverse decine di milioni ad un miliardo di migranti ambientali al 2050. Queste sono le cifre con cui dovremo fare i conti, mentre le cause sono complesse e globali, altro che fermare una nave nel Mediterraneo - senza far parola dell’aspetto etico.  


Si tratta di una prospettiva enorme che non può essere certo ricondotta alle schermaglie politiche fra partiti, i quali invece avrebbero il compito di tentare di risolvere i problemi sulla base delle informazioni che provengono dagli studi scientifici in proposito. Il coronavirus che porta al Covid ha, in questo senso, modificato l’approccio del mondo politico a quello scientifico - il primo solitamente altezzoso e a volte persino sprezzante verso il secondo - in particolare nel nostro Paese, dove il Governo in carica ha apertamente adottato decisioni basate su risultanze scientifiche descritte da scienziati. Il Governo ha operato bene, aprendo una via praticamente inedita nella politica. Un fatto nuovo (non si vedeva nulla di simile dai tempi del dibattito sul nucleare, ma in forma e misura molto diverse) che può comportare conseguenze interessanti. Innanzitutto, una modifica culturale di non poco conto derivante proprio da un modello relazionale inedito di ascolto della politica nei confronti della scienza, in secondo luogo, scelte e decisioni di profilo tecnico come via prioritaria poiché la situazione lo richiede. Il Governo va encomiato per questo. 

Noi cittadini, dal canto nostro, possiamo fare una scelta precisa: non eleggere coloro che non credono nella scienza. Sarebbe un primo passo utile.

Ma andiamo oltre. Dovremmo, infatti, percorrere la stessa strada in ogni campo che sia in qualche modo  legato alla scienza; dunque, anche nell’approccio all’uso della plastica e di ogni altro materiale, all’uso degli animali, che dalle foreste ai mercati al mondo possono portare virus ignoti al nostro sistema immunitario, all’uso delle biotecnologie, al cambiamento climatico, il problema globale più rischioso.

C’è ancora molto da sapere sui legami fra le attività umane, gli equilibri naturali, la rete della vita sulla Terra, e lo sviluppo delle conoscenze scientifiche in proposito è particolarmente importante, anche al fine di impostare politiche adeguate a proteggerci dalle crisi climatiche e a limitare il cambiamento stesso.

Sul sito del CMCC si può, inoltre, vedere un video molto chiaro sulla variazione della copertura ghiacciata sull’Antartide negli ultimi 25 anni. Pur considerando le variazioni stagionali, la riduzione è nettissima. Si diceva della necessaria descrizione intuitiva: questa lo è, chiarendo il problema più di molte parole.


L’indirizzo del sito web è il seguente:


https://www.climateforesight.eu


Il video, reperibile sul sito medesimo, si può vedere sul canale YouTube:


https://m.youtube.com/watch?feature=emb_title&v=_C2EeptHCY8




domenica 13 settembre 2020

All’idrogeno, e al nostro Paese, può spettare un ruolo importante, purché ben programmato

 Diventare nel 2050 il primo continente climate neutral al mondo: una sfida impegnativa, quella lanciata dall’Europa, che dovrà essere studiata e progettata adeguatamente in ogni dettaglio. La maggiore sfida dei nostri tempi, quella da cui maggiormente dipende il nostro futuro, anche se certo non l’unica. 

Uno dei fili più interessanti della rete che deve comporre la trama fatta di ricerca-tecnologia-industria-energia necessaria a raggiungere l’obiettivo è costituito dall’idrogeno. L’idrogeno è un vettore energetico (quindi non è una fonte di energia) che nella combustione con adeguate tecnologie non produce carbonio, non impatta cioè sulla composizione atmosferica con sostanze che vanno ad alterare i parametri climatici. La produzione dello stesso, però, deve essere verde per avere impatto zero, provenire cioè da fonti rinnovabili o più in generale, come si dice, deve trattarsi di idrogeno a basse emissioni di carbonio (low carbon hydrogen). 

Lo scorso 8 luglio 2020, l’Europa ha lanciato la sua strategia sull’idrogeno, con un primo convegno di nascita della European Clean Hydrogen Alliance (Alleanza Europea per l’Idrogeno Pulito), costituita da stakeholder pubblici, privati, della società civile. Si legge sul sito (gli indirizzi web citati nel’’articolo sono tutti in calce) che lo scopo consiste in un’ambiziosa diffusione delle tecnologie per l’idrogeno, rinnovabile o a basse emissioni di carbonio, al 2030, unendo la produzione, la domanda e la trasmissione e distribuzione. Con l’Alliance, l’Unione Europea intende costruire per sé un ruolo di leadership globale in questo ambito, a supporto dell’impegno di raggiungere la neutralità climatica al 2050. La partenza sarà immediata al fine di essere in grado di fornire 1 milione di tonnellate di idrogeno verde già nel 2024, e 10 milioni di tonnellate al 2030.


Numerosi commentatori hanno rilevato che il nostro Paese potrebbe avere un ruolo di rilievo in questa sfida, e uno studio propone scenari avveniristici. L’Italia potrebbe diventare un hub di un combustibile pulito centrale per l’Europa importando idrogeno prodotto dagli impianti solari del Nord Africa, con un risparmio del 10-15% rispetto a una produzione locale. Il nostro Paese possiede una capillare infrastruttura per il trasporto del gas storicamente costituita che la collega al reto d’Europa e al Nord Africa, che apre a nuove possibilità di utilizzo.  La ricerca che esamina tale prospettiva è stata condotta da The European House-Ambrosetti in collaborazione con SNAM, ed è stata presentata nel corso del 46° Forum The European House-Ambrosetti, a Cernobbio: “H2 Italy 2050: una filiera nazionale dell’idrogeno per la crescita e la decarbonizzazione dell’Italia”. Sul sito si può scaricare l’intero studio, e fare riferimento ad una chiara tabella denominata “Filo Logico”, molto interessante. L’apporto allo sviluppo sostenibile sarebbe notevole: nuovi ambiti di sviluppo industriale verde, occupazione, contributo consistente alla lotta al cambiamento climatico.

Al 2050 la ricerca stima una penetrazione potenziale del 23% dell’idrogeno nei consumi finali, che può permettere un taglio nelle emissioni di CO2 del 28% rispetto all’anno base 2018.


Un articolo del Sole24ore del 13 agosto scorso descrive altre vie in proposito. Si legge che “Fare della produzione di idrogeno da fonti rinnovabili e del suo utilizzo il vettore di sviluppo delle regioni dell’area del cratere sismico del 2016 e 2017: il progetto di Aecom (multinazionale dell’engineering con base a Los Angeles, 20,2 miliardi di dollari fatturati nel 2019 e 57 mila addetti nel mondo) è nelle mani della Presidenza del Consiglio, dopo la positiva presentazione ai Ministri Patuanelli e De Micheli e sarà presto oggetto di uno studio di fattibilità”.

Si parla cioè di realizzare un polo dell’idrogeno in una delle zone in crisi a causa del sisma dell’Appennino centrale. Si tratterebbe di produzione di idrogeno verde effettuata in loco, incluse le tecnologie per le celle a combustibile. La strategia includerebbe i trasporti, con la sperimentazione dei primi treni a idrogeno in Italia. In sostanza, un piano per l’idrogeno nelle zone colpite dal terremoto a tutto tondo, produzione e utilizzo, accanto ad una ricostruzione dei centri abitati sul modello delle comunità energetiche. 


Si tratta di prospettive che devono diventare concrete, a condizione che vadano inserite in una strategia complessiva e coerente. Abbiamo vissuto nel passato altre esperienze che dovrebbero averci insegnato molte cose: dalla diffusione delle rinnovabili sul territorio in assenza dei Decreti attuativi (arrivati 7 anni dopo), all’impegno finanziario sul fotovoltaico senza investire sulla produzione industriale dei pannelli, o di altre componenti, alle difficoltà evidenti nel coinvolgere la cittadinanza nella transizione energetica. 

L’energia splittata fra i vari Ministeri viene ampiamente penalizzata, mentre si tratta di un tema centrale per lo sviluppo dell’Italia. Qualcuno ricorderà l’importanza che ha avuto la strategia energetica nello sviluppo del nostro Paese nel dopoguerra; ora deve essere più o meno lo stesso, nel quadro di una prospettiva nuova che include la tutela dell’ambente. Con la differenza che oggi ci troviamo fortunatamente nell’Unione Europea e possiamo interagire in modi e con tempi ben diversi da allora.


L’articolo del Sole24ore:

“Parte dal Centro Italia un maxi piano per l’idrogeno”, 13/8/2020, a firma di Michele Romano.


I siti dell’European Clean Hydrogen Alliance:


https://ec.europa.eu/growth/industry/policy/european-clean-hydrogen-alliance_en


https://hydrogeneurope.eu/events/european-clean-hydrogen-alliance-launch-event


Lo studio Ambrosetti:


https://www.ambrosetti.eu/ricerche-e-presentazioni/h2-italy-2050-una-filiera-nazionale-dellidrogeno-per-la-crescita-e-la-decarbonizzazione-dellitalia/









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