mercoledì 24 giugno 2020

Attacco al PD (dal suo interno, naturalmente)

Chiaro che per affrontare la crisi che stiamo vivendo e mettere in campo soluzioni occorre almeno una condizione politica stabile. Questo in soldoni significa che il governo va sostenuto affinché prosegua nel suo lavoro. Può sembrare un’affermazione di comodo e di parte, ma sfido chiunque a dimostrare che una strada diversa sia opportuna in questo momento.
Uno dei partiti della maggioranza è il Partito Democratico, che certo non brilla per compattezza. Ma questo si sapeva. Dall’essere un “partito plurale” a candidarsi per mandare all’aria ciò che si sta facendo fra mille difficoltà, però, ce ne corre.  E Giorgio Gori, Sindaco di Bergamo, sta facendo proprio questo: in una serie di interventi pubblicati sui principali quotidiani attacca Nicola Zingaretti e la dirigenza del partito, chiedendo un congresso prima possibile per riuscire a cambiare Segretario e dirigenti altrimenti sarà troppo tardi e non si riuscirà a “salvare il Paese”. La tempistica è velocissima: addirittura entro l’autunno. Nel merito, Gori ritiene che occorra far crescere l’Italia di almeno l’1,5% all’anno, e che il baricentro del PD sia stato “spostato sulla protezione sociale” dall’accordo con il Movimento 5 Stelle. In sostanza, servirebbe un altro PD, più vicino alle idee di Gori.
 
Su questo blog mio personale sono abituata a scrivere il mio parere in modo netto; del PD sono solo un’iscritta ma sono convinta che l’opinione anche dell’ultimo degli iscritti valga tanto quanto quella del Sindaco di Bergamo, o di altra città, o di qualsiasi altro esponente di primo piano del partito, e la mia è questa: sul piano politico, l’intervento di Gori è quanto di più inopportuno possa capitare in questo momento, sul piano personale, l’ennesimo attacco a mezzo stampa stancherebbe qualsiasi santo iscritto o simpatizzante del PD al punto da rasentare l’insopportabilità. Propongo in proposito una medaglia a tutti i militanti che sopportano stoicamente per anni gli scontri fra i vari gruppi di potere del partito. 
Stando alle sue parole, Giorgio Gori ritiene evidentemente che con la dirigenza attuale sia impossibile far crescere il nostro Paese di 1,5% all’anno e che occorra spostarsi in senso opposto rispetto alla protezione sociale. Persone diverse e meno protezione sociale: sembrerebbe un tentativo di far virare a destra il PD. Ma il PD virerà a destra se il percorso congressuale andrà in quella direzione, a tempo debito, secondo le regole che il partito si è dato. Non perché un Sindaco, per quanto autorevole possa essere, pensa che sia questa la strada utile. Il rispetto delle regole dovrebbe essere la guida, ma sappiamo che la politica è fluida e si può concepire legittimamente il fatto che esse possano essere superate da necessità gravi, istanze inderogabili, problemi seri, in sostanza per il bene della società. Quello che si presenta ora, però, è il caso opposto: come si possa pensare che in mezzo alla crisi peggiore, causata da un evento esterno che si è innestato in una situazione già difficile, sia utile andare ad un congresso di un grande partito della maggioranza “entro l’autunno” è incomprensibile. In aggiunta, risulta difficile capire come si possa suggerire che in una condizione di estrema difficoltà sociale sia bene orientarsi verso minori tutele: i bisogni delle persone sono reali ed immediati.       
Anche lo sviluppo (sostenibile) lo è: per questo il governo ha passato una settimana a Villa Pamphili, per incontrare tutti e decidere cosa fare in un momento delicato, quale strategia costruire. Dopodiché il passaggio all’atto pratico sarà cruciale (ne abbiamo scritto nel post precedente), ma non si può pensare che si facciano le cose di proposito per far danno, soprattutto se si è membri di un partito della maggioranza. E se l’attuale maggioranza si può qualificare nel suo insieme come orientata nel centro-sinistra sarebbe quantomeno curioso che prendesse provvedimenti di centro-destra - come d’uso, spacciati per gli unici capaci di risolvere situazioni. 
Al contrario, la dilagante cultura di destra in economia ha causato i peggiori guai che ci assillano da anni, senza che ancora si riesca a costruire una cultura alternativa all’altezza della sfida. 
Se le critiche, pesanti, vengono da destra non c’è da sorprendersi: se il governo fa gli Stati Generali dell’economia a Villa Pamphili è un’inutile passerella dove si mangiano “i salatini” mentre quando le passerelle le faceva Berlusconi erano importanti incontri internazionali guidati da un magnate illuminato. 

Venti contrari soffiano, però, con un certo impeto: non amo abbattere le statue così come non amo costruirle, ma non si può non riconoscere nella furia iconoclasta che sta imperversando soprattutto in America un cambio della sensibilità collettiva, che non accetta più sentimenti un tempo radicati. Razzismo, supremazia culturale e patriottica, divisioni, guerre di conquista, il giogo posto su interi popoli, schiavitù. L’idea che un popolo con la società che ha costruito siano “superiori”, non ha alcuna base scientifica. Oggi il sentimento comune tende a cambiare direzione, e non va sottovalutato o derubricato in estremismi che sicuramente sono presenti ma non bastano ad includere il tutto. Il movimento giovanile ambientalista guidato da Greta Thunberg è un altro esempio di nuove sensibilità che si stanno diffondendo in misura molto più ampia dei classici movimenti ambientalisti. Un grande partito progressista, come lo è il PD, non può non approfondire  questi temi: almeno se ne discuta. Ho fatto parte del movimento che in sintesi veniva denominato “no-global” e mi auguro che la sinistra non faccia lo stesso errore di allora di considerare con sussiego uno spazio politico che invece aveva qualcosa da dire. 
Quanto alla statua di casa nostra, quella di Indro Montanelli, certo non approvo il gesto di coloro che l’hanno imbrattata, ma non approvo nemmeno coloro che l’hanno costruita, con un’iniziativa fuori luogo per un personaggio quantomeno controverso.  
Questa epidemia dovrebbe averci aperto gli occhi con uno sguardo diverso; siamo tutti uguali e tutti ugualmente sula stessa barca. L’unica cosa che può aiutarci a condurla è l’uso della ragione.

sabato 13 giugno 2020

Una strategia di ripresa che guardi al mondo attuale

C’è urgente bisogno di una strategia di ripresa dopo i terribili eventi connessi al Covid-19. Una ripresa che deve avere, in modo indispensabile e inderogabile, le caratteristiche di sostenibilità, inclusività, concretezza ed efficienza. La ripartenza si interseca con la battaglia contro il cambiamento climatico, con la tutela delle ultime aree naturali del pianeta, con la conservazione della biodiversità, con la preservazione degli ultimi popoli viventi allo stato di natura, con la riduzione del consumo delle risorse non rinnovabili, con il riequilibrio delle diseguaglianze divenute fortissime. In Italia si intrecciano i fili di una ripresa condizionata dal rispetto di un programma da attuare con efficienza, e di una stasi che forma una solida trama da molto tempo prima del coronavirus. Non sarà facile trasformare l’insieme, se non in un pizzo, almeno in un tessuto nuovo e leggero. Fra gruppi di esperti ad hoc, villa Pamphili, articoli di ogni commentatore, intellettuale, scrittore, etc. che si conosca o meno, speriamo di passare alla pratica prima dei pensare che la teoria esaurisca il compito, magari per sfinimento.

D’altro canto, a ben guardare abbiamo visto anche risvolti interessanti di questa crisi, che potrebbero essere accolti fra le novità, come il digitale ormai ubiquo: su tutte, la capacità della Natura di rigenerarsi in brevissimo lasso di tempo, le meduse nei canali di Venezia, il cielo blu e trasparente che mostra paesaggi lontani, un’inaspettata pletora di fauna selvatica a passeggio in borghi e città, un calo stimato in meno 11.000 in Europa, di cui 1.500 in Italia, decessi legati allo smog. Undicimila morti in meno in poco più di tre mesi non sono uno scherzo, sono un dato da inserire nelle analisi. 
In aggiunta, l’impennata dell’uso della bicicletta, accompagnato dal calo drastico della vendita di automobili tradizionali, con motore a combustione interna, mostrano la capacità delle persone di cambiamento delle proprie abitudini, prima considerate inamovibili dai commentatori, politici e non, a sostegno del fossile (sembra niente, ma è una categoria assai diffusa: attribuiscono alla società scelte che non vogliono fare).
Ma la trasformazione deve arrivare in profondità. Si possono ridurre i viaggi aerei visto che le conferenze possono essere fatte da remoto, magari salvando i momenti di confronto più importanti, si può ricorrere maggiormente al treno per i viaggi lunghi, si può utilizzare verdure a chilometro zero, si può. Fino alle grandi compagnie energetiche, che dovranno abbandonare petrolio, gas, carbone e metano in favore di rinnovabili e soluzioni per incrementare l’efficienza. Con lo shale gas ormai (fortunatamente) fuori mercato per l’abbattimento dei prezzi del petrolio. 
Tutto ciò può modificare conseguentemente la geopolitica internazionale, aprendo la strada ad una forma di “democrazia energetica” basata sulle fonti rinnovabili, per loro natura diffuse sul territorio invece che concentrate in giacimenti in possesso del Paese che li ospita. Da un sistema economico e produttivo fondato sul prezzo del petrolio ad un sistema fondato su sole e vento - e bassi consumi, indispensabili per basarsi su sole e vento. Le fonti energetiche fossili ci hanno consentito uno sviluppo e una ricchezza a disposizione che non ha eguali nella storia: per fare il bucato in lavatrice di classe A, quindi ad elevata efficienza, occorrerebbe un’ora di lavoro di quindici persone, mentre occorrerebbero mille e seicento persone per muovere e viaggiare con un’automobile di media cilindrata. Ciascuno di noi segue un livello di vita superiore a quello di re ed imperatori del passato, che avevano schiavi o persone al servizio. Ma tutto ciò è stato ottenuto depauperando risorse non rinnovabili, inquinando l’ambiente, e creando diseguaglianze maggiori a quelle rilevabili in ogni era del passato. Il prezzo è talmente alto che pone a rischio la nostra stessa sopravvivenza come specie sulla Terra: un problema mai visto nella storia umana alla cui analisi non possiamo sfuggire. 

Il nostro Paese ha molto da fare, a partire da un ammodernamento strutturale che ancora latita e non ci consente di completare l’attraversamento del guado verso un pieno sviluppo. Dal dopoguerra in poi, siamo partiti in quarta e poi rimasti a metà. Non basta infatti guardare al Pil e alla posizione che occupiamo in una banale classifica mondiale, come ormai si sono accorti in molti della generazione successiva a coloro che pareva non se ne accorgessero.
Ora i nodi vengono al pettine, e sono stati evidenziati da un’epidemia che nessuno aveva previsto, ma che tutti sanno che prima o poi arriva. Ci ha messo in grandi difficoltà: ora non possiamo assolutamente adagiarci, non è più tempo. 
La strategia di ripresa deve essere inserita nel contesto attuale, non c’è tempo per erronei ritorni al passato. Vediamo perciò cosa deciderà il governo, e in quali modi - ripeto, che siano immediatamente pratici e concreti - verrà progettata un’adeguata strategia per il futuro prossimo.

PS:  i paragoni energetici fra le tecnologie moderne e il lavoro umano sono tratti da “Energia per l’astronave Terra”, Armaroli e Balzani, Zanichelli.

venerdì 5 giugno 2020

Giornata Efficace Mondiale dell’Ambiente

Buona Giornata Mondiale dell’Ambiente a tutti.
Oggi, 5 giugno, si celebra l’iniziativa dell’ONU in un mondo che ha davvero perduto gran parte delle sue caratteristiche originarie. L’impatto umano sui sistemi naturali ha raggiunto l’intero globo terrestre, gli equilibri ecologici sono sempre più precari o spenti del tutto, le aree naturali rimaste sono sempre più ristrette e nulla fa pensare che sia prossima un’inversione di tendenza, la varietà di animali e piante è diminuita moltissimo e una lunga lista di specie è a rischio di estinzione. La nostra specie entra sempre più negli ambienti naturali, a contatto con gli animali selvatici che “dovevano” restare nella foresta o nel loro habitat, scatenando zoonosi e pandemie come quella attuale del coronavirus covid-19. E’ come se li andassimo a cercare, i virus.
Di questi temi si parla da decenni, senza che appaia all’orizzonte un elemento qualsiasi che faccia pensare ad un’inversione di tendenza. Nelle occasioni in cui la comunità internazionale si confronta, la prassi consiste nel tentare di contenere gli impegni, limitare gli obiettivi, evitare sanzioni, riuscire a far sì che i proprio Paese ne resti fuori e possa continuare il proprio sviluppo a spese dell’ambiente. Nella politica, anche nostrana, riuscire a parlare di ambiente è una sfida per chiunque, tanti sono gli ostacoli che occorre superare, a partire dalle ostilità esplicite.
Nonostante tutto ciò sono stati fatti passi avanti principalmente sul fronte della cultura ambientalista, assai più diffusa e accettata oggi rispetto ad alcuni anni fa, sono stati assunti impegni con accordi internazionali, esistono regole e norme per limitare i danni. E’ l’inversione di tendenza che ancora manca. Il famoso “sviluppo sostenibile”.

La Giornata che si celebra oggi è dedicata alla biodiversità, sotto attacco per una serie di motivi,  dal traffico e commercio di animali selvatici, alla continua riduzione fino alla sparizione degli habitat, all’incuria fino a veri e propri comportamenti criminali. Il tema non deve sembrare estraneo alla nostra vita quotidiana: al contrario, ci tocca da vicino, interagisce con noi tramite le fitte maglie della rete della vita, ci riguarda direttamente nel momento in cui la conservazione di ambienti naturali vivi e in salute determina lo stato dell’ambiente naturale, la qualità del suolo, delle acque, dell’aria, in cui noi stessi viviamo. Noi non siamo estranei al mondo, ne siamo parte. Una parte rilevante che è ora perfettamente in grado di distruggere la stessa fonte della propria vita.
Inquinamento ambientale, abusivismo edilizio e consumo di suolo, emissioni climalteranti, diseguaglianze sociali che costringono al consumo delle risorse naturali, sono alcuni dei temi che riguardano tutti ed in particolare anche il nostro Paese.
Due giorni fa sono stati presentati il SOER 2020 (State of the Environment Report), Annuario dei dati ambientali e Rapporto di Sistema, i tre report dedicati alla situazione ambientale in Europa e in Italia. Maggiori informazioni sono reperibili sul sito di Ispra, che presenta una serie di pannelli con una grafica chiara ed immediata (indirizzo in calce). Il nostro Paese come si sa è ricco di biodiversità, ma le percentuali delle specie minacciate raggiungono cifre preoccupanti, che si avvicinano pericolosamente al cinquanta per cento. Abbiamo consumato suolo e costruito abusivamente per decenni, le emissioni inquinanti sono rilevanti, e le normative spesso disattese. Quest’ultimo punto fotografa la situazione attuale: spesso, le normative esistono ma non vengono rispettate, o farle rispettare è una continua battaglia. Ancora, l’illegalità in questo ambito è spesso tollerata: la piaga dell’abusivismo edilizio in Italia ne è una prova, le discariche illegali o la ”terra dei fuochi” un’altra.

Ma non si potrà evitare di fare i conti con l’ambiente. I nodi vengono al pettine, inevitabilmente se si tratta dileggi di natura. Spiace che a trattare questi temi ci si infili dritti nel ruolo di Cassandra; ma vale la pena di ricordare che Cassandra aveva ragione e avrebbero fatto bene ad ascoltarla...
Facciamo perciò in modo che si vada oltre le parole, che davvero i provvedimenti diventino efficaci. Facciamo che la Giornata di oggi sia davvero un momento concreto ed effettivo di cambiamento..

I siti della Giornata dell’Ambiente dell’ONU:

https://news.un.org/en/story/2020/06/1065692

https://www.un.org/en/observances/environment-day

Il sito di Ispra:

https://www.isprambiente.gov.it/it/events/lo-stato-dellambiente-in-europa-e-in-italia



lunedì 1 giugno 2020

L’Unione Europea c’è

Non ha certo scelto una soluzione di compromesso, la Commissione Europea:  raccogliere sui mercati 750 miliardi di euro, distribuendone 500 attraverso sussidi e 250 tramite prestiti. Il nostro Paese dovrebbe essere il primo beneficiario con 172 miliardi totali, di cui 82 in sussidi. La proposta della Commissione scavalca quella di Merkel e Macron (di cui abbiamo scritto nel post precedente) e segna un passo storico nel percorso di Unione dei Paesi d’Europa. Sarà difficile che il piano “Next Generation EU” venga approvato così com’è, anche se lo auspichiamo, ma il dato politico è comunque inequivocabile: l’Unione Europea c’è.

Non entro nel merito dei dettagli tecnici, che sono reperibili su tutti i quotidiani, mi interessa ragionare in breve sull’elemento politico. Prima i fatti. L’Unione Europea, spesso criticata per la mancanza di visione comune in ambiti importanti, per le cavillosità delle regole, per la lontananza presunta dai cittadini, si trova ad affrontare una crisi durissima e imprevista. Praticamente all’improvviso, un elemento estraneo al normale andamento della vita dei cittadini e della società nel suo insieme, costituito da un virus di origine asiatica proveniente molto probabilmente da animali commerciati nei mercati locali, attacca la salute delle persone in modo spesso grave, causando malati e decessi, e determinando un vasto e accelerato impegno sul fronte sanitario. Un’epidemia pericolosa, di quelle che capitano una volta al secolo o ancora meno, un evento extra-ordinario non previsto e rispetto al quale i sistemi sanitari si trovano spesso impreparati. Settimane di chiusura quasi totale delle attività di ogni genere sono il provvedimento principale, che segnerà anche nella storia questo periodo, assunto quasi da tutti i Paesi. Il conseguente crollo del Pil, e il decadere del normale svolgimento della vita comune dei cittadini, sono lo scenario che si apre dopo la fase più critica. Pesanti difficoltà umane e finanziarie colpiscono le persone, le imprese, ogni settore. L’insegnamento scolastico si svolge “a distanza”, vale a dire senza l’indispensabile confronto dialettico diretto e in presenza fra docente e studenti. Si tratta di un colpo durissimo.
Si può rispondere al colpo in due modi: esasperando le divisioni, o incrementando l’unione. Due modi complementari. La Commissione Europea guidata da Ursula Von Der Leyen, e in precedenza l’accordo franco-tedesco, hanno scelto il secondo, hanno costruito un ponte verso l’unione, un vero e proprio viadotto capace di superare una valle, e solidamente posato su pilastri ben definiti.  L’Unione (con l’iniziale maiuscola) non vuole morire, anzi vuole rinascere, rivitalizzarsi dopo il forzato arresto.
Un secondo elemento politico riguarda il gioco al rialzo. La proposta della Commissione non lascia spazio ad attacchi diretti a Bruxelles: se non passerà, o passerà in misura ridotta, sarà facile individuare i Paesi contrari e responsabili di un fallimento o di modifiche in senso restrittivo. Il dito dovrà essere puntato altrove, questa volta.
Infine, l’aspetto politico che ci riguarda. Il fondo UE sarà legato ad un Piano che dovremo preparare e presentare con le debite scadenze, sarà cioè legato a riforme e interventi che dovranno essere concretamente posti in atto con una scaletta temporale da rispettare. Non ci sarà la Troika ad intervenire, ma ci sono condizioni che riguardano il corretto uso delle risorse messe a disposizione decise dagli stessi Paesi beneficiari. Saremo noi stessi a stabilire come, un po’ come se fossimo costretti a fare davvero ciò che vorremmo fare.  Come ha detto Paolo Gentiloni, il recovery fund “non ha a che fare con condizionalità e intrusione di Bruxelles, è volontario, gli Stati membri si assumono la responsabilità della propria crescita”.
Si tratta di un fatto nuovo, e si tratta di una prova inedita per l’Italia, che dovrà saper superare ataviche difficoltà, inefficienze, ritardi, burocrazie, per fare le riforme necessarie e, come si dice da tempo, non più rinviabili. Insomma, questa è l’occasione giusta per delineare e costruire il futuro, e se sapremo fare bene potrà portarci lontano. Potrà inoltre modificare l’immagine che il nostro Paese trasmette nel mondo, fatta di mille pregi e di altrettanti difetti che ci portano ai ben noti problemi economici che ci attanagliano. L’occasione da non perdere.

Si diceva dell’Unione Europea. E’ viva, con buona pace delle destre sovraniste, che rappresentano per la politica che portano avanti il maggiore ostacolo alla risoluzione dei problemi che loro stesse pongono. Da europeista, e senza nascondere le difficoltà che ancora persistono, questa è davvero una bella giornata.

Recovery Fund: che nascano gli Stati Uniti d’Europa?

Lunedì scorso, nel corso di una videoconferenza che si è tenuta tra Parigi e Berlino, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron hanno annunciato un piano per creare un fondo europeo da 500 miliardi di euro, per far fronte alla pesantissima crisi causata dall’epidemia del coronavirus.
Un Recovery Fund, che potremmo tradurre con fondo per il recupero e la ripresa dopo una dura crisi, importante, ma soprattutto, svincolato dalle strette maglie delle regole economiche che attanagliano singoli Paesi.  Si tratta di una proposta, infatti, per un piano per la «ripresa dell'economia europea» che raccoglie 500 miliardi di euro sul mercato con l’emissione di bond a lunga scadenza, finanziato cioè da emissioni di debito comune, e garantito dal bilancio pluriennale in vigore dal 2021 al 2027.
Ed è quel vocabolo “comune” a far pensare a prospettive davvero unitarie, ad un futuro europeo finora rimasto largamente sulla carta, ostacolato dalle destre autarchiche o più modernamente “sovraniste” (il che è lo stesso), e dalla visione corta, miope, di governi mai abbastanza forti. Può non piacere il metodo, che opta per un confronto fra singoli governi invece che fra istituzioni comunitarie, ma la proposta va nella giusta direzione. Purtroppo, altri governi si sono già espressi in senso contrario, Austria, Paesi Bassi, Danimarca, Svezia - per un totale di meno di 40 milioni di abitanti su 500 milioni in Unione Europea, senza nulla togliere al ruolo di tali Paesi - annunciando che faranno una loro controproposta sul tema.
Il Recovery Fund di Francia e Germania sarebbe finalizzato a costruire una strategia sanitaria per l’Europa, oggi dipendente dall’estero per molti dispositivi medici di base, a rispondere alle spese causate dall’epidemia da coronavirus, a promuovere una vera transizione ecologica, a rafforzare la capacità industriale europea. Costituirebbe una base per una visione di sviluppo comune, per delineare una strategia comune, e per farlo con concretezza e non soltanto con le parole. Incominciando adesso. Che sia una vera svolta verso gli Stati Uniti d’Europa? Sarebbe tempo.

Mentre Trump si ritira dal trattato Open Skies, cui aderiscono 35 Stati inclusa la Russia, e probabilmente sancirà la fine del trattato New Start, per mettere all’angolo la Cina sulla questione delle armi nucleari, che fa l’Europa? Ha una strategia geopolitica estera e di difesa comune? O preferisce trincerarsi dietro i confini dei piccoli Stati? Ritorniamo all’impero Austro-Ungarico, al regno di Danimarca, o all’economia dei tulipani olandesi? (quest’ultima è una citazione da Romano Prodi).
E cosa propongono i “sovranisti-autarchici” italiani, di rifiutare il Recovery Fund? Preferiscono fare da soli?  L’Europa è già stata distrutta, non dimentichiamolo, dalle destre europee interne non dall’esterno. Il fatto che insistano a provarci è solo la firma in calce.

Dunque, andiamo avanti sulla strada che stiamo percorrendo. In Italia ora non c’è alternativa al Governo attuale, che pur con tutte le difficoltà del caso, e quelle aggiuntive davvero enormi causate dall’epidemia, sta lavorando bene per quanto possibile..

Il sogno europeo (titolo di un bel libro di Jeremy Rifkin che, pur essendo ormai datato, vele la pena di rileggere proprio per riassaporare lo spirito che porta all’Unione) nonostante le enormi difficoltà, non finirà.


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Tutte le stagioni in una settimana. E dovremo abituarci.

  Il cambiamento climatico presenta ormai con evidenza empirica praticamente tutte le caratteristiche previste da anni dai modelli climatici...

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