lunedì 1 giugno 2020

Recovery Fund: che nascano gli Stati Uniti d’Europa?

Lunedì scorso, nel corso di una videoconferenza che si è tenuta tra Parigi e Berlino, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron hanno annunciato un piano per creare un fondo europeo da 500 miliardi di euro, per far fronte alla pesantissima crisi causata dall’epidemia del coronavirus.
Un Recovery Fund, che potremmo tradurre con fondo per il recupero e la ripresa dopo una dura crisi, importante, ma soprattutto, svincolato dalle strette maglie delle regole economiche che attanagliano singoli Paesi.  Si tratta di una proposta, infatti, per un piano per la «ripresa dell'economia europea» che raccoglie 500 miliardi di euro sul mercato con l’emissione di bond a lunga scadenza, finanziato cioè da emissioni di debito comune, e garantito dal bilancio pluriennale in vigore dal 2021 al 2027.
Ed è quel vocabolo “comune” a far pensare a prospettive davvero unitarie, ad un futuro europeo finora rimasto largamente sulla carta, ostacolato dalle destre autarchiche o più modernamente “sovraniste” (il che è lo stesso), e dalla visione corta, miope, di governi mai abbastanza forti. Può non piacere il metodo, che opta per un confronto fra singoli governi invece che fra istituzioni comunitarie, ma la proposta va nella giusta direzione. Purtroppo, altri governi si sono già espressi in senso contrario, Austria, Paesi Bassi, Danimarca, Svezia - per un totale di meno di 40 milioni di abitanti su 500 milioni in Unione Europea, senza nulla togliere al ruolo di tali Paesi - annunciando che faranno una loro controproposta sul tema.
Il Recovery Fund di Francia e Germania sarebbe finalizzato a costruire una strategia sanitaria per l’Europa, oggi dipendente dall’estero per molti dispositivi medici di base, a rispondere alle spese causate dall’epidemia da coronavirus, a promuovere una vera transizione ecologica, a rafforzare la capacità industriale europea. Costituirebbe una base per una visione di sviluppo comune, per delineare una strategia comune, e per farlo con concretezza e non soltanto con le parole. Incominciando adesso. Che sia una vera svolta verso gli Stati Uniti d’Europa? Sarebbe tempo.

Mentre Trump si ritira dal trattato Open Skies, cui aderiscono 35 Stati inclusa la Russia, e probabilmente sancirà la fine del trattato New Start, per mettere all’angolo la Cina sulla questione delle armi nucleari, che fa l’Europa? Ha una strategia geopolitica estera e di difesa comune? O preferisce trincerarsi dietro i confini dei piccoli Stati? Ritorniamo all’impero Austro-Ungarico, al regno di Danimarca, o all’economia dei tulipani olandesi? (quest’ultima è una citazione da Romano Prodi).
E cosa propongono i “sovranisti-autarchici” italiani, di rifiutare il Recovery Fund? Preferiscono fare da soli?  L’Europa è già stata distrutta, non dimentichiamolo, dalle destre europee interne non dall’esterno. Il fatto che insistano a provarci è solo la firma in calce.

Dunque, andiamo avanti sulla strada che stiamo percorrendo. In Italia ora non c’è alternativa al Governo attuale, che pur con tutte le difficoltà del caso, e quelle aggiuntive davvero enormi causate dall’epidemia, sta lavorando bene per quanto possibile..

Il sogno europeo (titolo di un bel libro di Jeremy Rifkin che, pur essendo ormai datato, vele la pena di rileggere proprio per riassaporare lo spirito che porta all’Unione) nonostante le enormi difficoltà, non finirà.


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