giovedì 6 agosto 2020

6 agosto 1945 Hiroshima, tre giorni dopo, Nagasaki

Una mattina di agosto come tante, in una città ovviamente abitata da civili in tempo di guerra, una guerra con episodi di violenza e distruzione mai visti. Certo, aveva anche i suoi bersagli militari, ma si dice che venne scelta perché ancora integra, non colpita dai bombardamenti. Una mattina di 75 anni fa, il 6 agosto 1945, alle ore otto e un quarto, sul cielo della città giapponese di Hiroshima si aprono le porte dell’inferno.
A circa 600 metri di altezza esplode un ordigno con la potenza di oltre 13.000 tonnellate di tritolo, la colonna di fumo e polveri generata si innalza in breve tempo fino a 17.000 metri di altezza, l’onda d’urto solleva interi edifici dal suolo come fossero foglie d’autunno spazzate dal vento, il calore di centinaia di migliaia di gradi scioglie le cose, letteralmente dissolve le persone, polverizza tutto quanto si trova intorno, un vento rovente spazza ciò che resta. Poco tempo dopo, una pioggia nera e viscida cade al suolo, portando con sè una pletora di elementi radioattivi che vanno a fissarsi nel terreno, nell’acqua, sopra ogni cosa. Il fall out radioattivo. 
Gli elementi radioattivi: di certo non erano fra i pensieri di uomini, donne, e bambini quella mattina di agosto in un città qualsiasi del Giappone. Scoperta dal fisico francese Henry Bequerel, e dai coniugi Pierre e Marie Curie, alla fine del diciannovesimo secolo, la radioattività diventa presto uno dei campi di studio della fisica più interessanti, anche se il percorso da lì alla fissione dell’uranio è abbastanza complesso. Alcuni minerali mostravano la proprietà di impressionare le lastre fotografiche  che, una volta sviluppate, presentavano delle zone scure. Il fenomeno accadeva anche al buio. Alcuni elementi, come l’uranio, il polonio, il radio, producono infatti emissioni di radiazioni (fotoni o particelle) in modo del tutto naturale a causa dell’instabilità del nucleo del loro atomo.  La trasformazione di un atomo radioattivo in un altro atomo viene denominata decadimento radioattivo, e può avvenire in tempi molto diversi, il “tempo medio” può essere di una frazione di secondo o di miliardi di anni.
Ebbene, la radioattività è fortemente nociva per l’uomo e per gli altri esseri viventi, per l’ambiente in generale; lo è anche quella che si riscontra in natura. Provocarla e diffonderla è un atto criminale. Ciascuno può naturalmente elaborare il proprio giudizio sull’uso bellico delle armi nucleari; nel caso in questione, il Giappone venne costretto alla resa con il bombardamento atomico di Hiroshima, e tre giorni dopo, di Nagasaki, due città abitate. Si stimano 80.000 morti immediate, a cui seguirono 60.000 morti in breve tempo per le conseguenze sanitarie dell’esplosione, e molte altre migliaia nel corso degli anni, a causa dell’inquinamento radioattivo. Soltanto ad Hiroshima. A Nagasaki si stimano altre 80.000 vittime. E’ impossibile una stima definitiva, dato che le radiazioni continuano nel tempo a far ammalare le persone e le conseguenze possono durare anche molto a lungo. Le bombe furono sganciate per decisione del Presidente Truman, da poco succeduto a Roosevelt, al fine di determinare la resa del Giappone. Gli Stati Uniti sono ad oggi l’unico Paese ad aver fatto ricorso alle armi atomiche durante una guerra. 
Una recente ricerca descrive il ritrovamento nei tessuti di crostacei di carbonio 14, radioattivo, a livelli tali da mostrarne l’origine nella detonazione di bombe nucleari. Dove? Nei fondali della Fossa delle Marianne, il luogo più profondo dei mari terrestri, 11.000 metri sotto la superficie, situata nel Pacifico tra il Giappone e la Nuova Guinea. Possiamo ora affermare che non soltanto l’inquinamento generato dall’uomo ha raggiunto ogni angolo della Terra, poli compresi, ma anche la violenza, l’orrore, volutamente attuati dall’uomo hanno raggiunto ogni dove, inclusa la profondità oceanica e i gamberetti che vivono laggiù.
Negli anni ‘50, ‘60 e ‘70 era normale una quota di radioattività nell’aria (che non si è mai del tutto spenta) dovuta ai test nucleari effettuati in atmosfera. Il deserto dell’Ovest degli Stati Uniti, alcune zone del Kazakistan e Novaja Zemlja per l’allora URSS, gli atolli (!) francesi nel Pacifico sono stati teatro delle prove delle armi più distruttive mai create. Poi, si è passati ai test sotterranei. In totale, quante volte? Più di duemila volte.  A cosa servono? A distruggerci, appunto. 
Dopo la terribile esperienza di Hiroshima e Nagasaki non si è certo pensato di smettere: al contrario, sono state costruite nel corso degli anni decine di migliaia fra bombe o testate missilistiche nucleari, tutte più potenti delle prime, sono state prodotte migliaia di tonnellate di uranio arricchito e plutonio, e gli Stati che ambiscono a possedere le armi più distruttive di sempre non hanno mai cambiato orientamento. Ai Paesi che ufficialmente possiedono armi nucleari, USA, ex-URSS, Cina, Francia, Regno Unito, si sono aggiunti Israele, India, Pakistan, e forse Corea del Nord.  Sono stati siglati degli accordi di riduzione delle armi atomiche fra USA e URSS, ora Russia, ma gli arsenali odierni sono più che sufficienti a farci sparire dalla faccia della Terra, con tutto ciò che ci sta intorno.

Molte di queste considerazioni sono già state fatte, più volte nel tempo. Ma non è inutile ripeterle, perché sulle nuove generazioni pesa un fardello di cui troppo spesso non sono consapevoli. Il dibattito sul nucleare segue andamenti oscillanti, a volte accende l’attenzione, poi per lunghi periodi scompare dai radar, a parte le celebrazioni ogni anno dell’attacco nucleare al Giappone al termine della Seconda Guerra Mondiale. Ci stringiamo alle vittime ed alle loro famiglie, ai superstiti. E non dimentichiamo la minaccia a cui siamo continuamente esposti. 

Per saperne di più, e per seguire il tema, il Bulletin of the Atomic Scientists (in inglese) è il punto di riferimento più autorevole. L’indirizzo web è il seguente:


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