giovedì 8 giugno 2023

Piogge più intense e edificazioni in eccesso: la famosa mano dell’uomo

 L’alluvione in Emilia-Romagna, ed in particolare in Romagna dove ha allagato una porzione rilevante di territorio della pianura e causato frane sui rilievi dell’Appennino, è stato un evento devastante, di grande portata, e comunemente inaspettato. Nel giro di due giorni, e dopo che una settimana prima il territorio era già stato colpito da pesanti precipitazioni, la pioggia incessante, battente, costante, ha scaricato acqua su terreni che solo tre settimane prima erano considerati siccitosi, mentre i fiumi si sono gonfiati in una notte quando erano quasi asciutti nel mese precedente. I torrenti che scendono dall’Appennino erano in piena come raramente si osserva, e l’esondazione è stata praticamente inevitabile. I danni, incalcolabili quelli relativi alle vittime, sono nel complesso enormi.


Tutta la Romagna, e tutta l’area di pianura Padana dal medio corso del Po fino all’Adriatico è considerata allagabile in caso di eventi estremi dalla mappatura del territorio dell’Ispra, così come molte altre zone d’Italia. Contemporaneamente, gli eventi estremi stanno aumentando in frequenza e in intensità, nel contesto del cambiamento climatico in atto da anni.


Traggo l’immagine e le frasi seguenti da una pubblicazione scientifica che prende in considerazione il territorio italiano (dunque non descrive fenomeni generali lontani dal contesto) e che risale al 2009. Ve ne sono altre risalenti ad anni prima. Perché questa scelta? Perché non si dica che non era previsto; al contrario, nel corso degli anni le evidenze in proposito sono diventate sempre più chiare.

Sullo studio in questione si legge, fra l’altro, che “su tutto i territorio italiano è in corso una lieve diminuzione delle precipitazioni totali, una diminuzione significativa del numero dei giorni piovosi, un prevalente aumento dell’intensità delle precipitazioni con valori e livelli di significatività variabili a seconda della regione in esame”. Lo studio suddivide il nostro Paese in cinque macro aree nelle quali la Romagna si trova nella zona Nord-Est-Sud (stante la nomenclatura usata) in acronimo NES. L’immagine utilizza linee di vari colori, mostrando andamenti nel tempo un po’ differenziati, ma sostanzialmente coerenti, come si vede chiaramente in figura. Essa ci mostra che, in sintesi, le precipitazioni rimangono all’incirca le stesse - con differenze fra le varie aree - i giorni piovosi calano notevolmente, e di conseguenza l’intensità delle piogge aumenta. I tre grafici sono chiarissimi in proposito.

In particolare, il fenomeno è più netto proprio nella zona denominata NES che va dal medio corso del Po all’Adriatico, includente anche la Romagna, e che corrisponde alla linea blu, insieme alla linea rossa che rappresenta invece il Nord-Ovest (Piemonte ed Emilia). Questo significa che l’intensità delle precipitazioni aumenta proprio nella zona classificata ad alto rischio allagamento dall’Ispra.


Si legge ancora “in generale, la diminuzione degli eventi di bassa intensità e l’aumento degli eventi più intensi è il sintomo di una estremizzazione della distribuzione delle precipitazioni italiane”.  Lo studio si spinge oltre, analizzando gli andamenti delle ondate di calore (triplicate in 50 anni), inondazioni costiere (inclusa Venezia), eventi siccitosi, prevedendo un aumento dei fenomeni nei decenni futuri (rif. in calce).


Il disastro avvenuto evidentemente non è solo dovuto al cambiamento climatico: la zona interessata è ampiamente modificata dall’intervento umano. Si trattava per via naturale di zone in gran parte paludose, dove finivano fiumi e torrenti appenninici, di cui ora restano scampoli nei Parchi e nelle zone protette (Parco del Delta del Po, Valli di Comacchio, Valli di Argenta, e altre). Le acque piovane venivano assorbite da canneti, paludi, acquitrini, i fiumi assestavano il loro corso come accade naturalmente nei corsi d’acqua non regimentati.

Ora, il territorio è caratterizzato da fiumi costretti fra stretti argini, costruzioni anche in aree troppo vicine agi argini stessi, campi coltivati, e insomma tutto quanto ci si può aspettare in una delle zone più sviluppate d’Italia. Il problema è che ora occorre rivedere almeno in parte il tipo di sviluppo e le modalità con cui viene realizzato tenendo conto del contesto naturale e delle risultanze scientifiche in tema di clima. Coloro che affermano che le alluvioni ci sono sempre state dicono una cosa ovvia; il tema è come cambiano ora e nel prossimo futuro sulla base degli studi scientifici e le modalità con le quali reagisce un territorio ampiamente antropizzato. 

Mille volte è stato detto che l’Italia è un Paese fragile, ma si contano con le unità gli interventi in difesa del territorio. Gli eventi franosi, le alluvioni ormai sono a cadenza mensile, ma il consumo di suolo nuovo procede senza sosta. Cambiare strada sarà una bella sfida.



Lo studio citato, inclusi i grafici nell’immagine:


Baldi, Brunetti, Cacciamani, Maugeri, Nanni, Pavan, Tomozeiu “Eventi climatici estremi: tendenze attuali e clima futuro sull’Italia”, su “I cambiamenti climatici in Italia: evidenze, vulnerabilità, impatti” a cura di S. Castellari e V. Artale, Bononia Univ. Press.





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