lunedì 26 aprile 2021

Chiedi cos’era Chernobyl

 Oggi, 26 aprile 2021, cade un triste e minaccioso anniversario, quello della catastrofe di Chernobyl. Un’esplosione che ha coinvolto i nocciolo del reattore numero 4 di una centrale nucleare situata a Pripjat, nei pressi di Chernobyl, in Ucraina al confine con la Bielorussia, quando erano parte dell’Unione Sovietica. Si tratta del più grave incidente nucleare della storia, classificato di settimo grado insieme a quello occorso in Giappone nel 2011 alla centrale di Fukushima a seguito di un maremoto.

L’immagine in calce mostra la centrale, o quello che ne resta, come si presenta oggi (foto BBC), ricoperta da un secondo “sarcofago” dopo che il primo dava da tempo segni di cedimento. Questo dovrebbe durare circa un secolo, cioè nulla rispetto alla durata della pericolosità di ciò che contiene. Il lascito che le generazioni future gentilmente riceveranno è uno dei tanti, enormi, danni ambientali e sanitari che abbiamo seminato per il mondo per sostenere una crescita economica che non ha precedenti nella storia umana, che è andata a beneficio soltanto di una parte dell’umanità, che non può avere futuro nei termini in cui è stata realizzata pena la distruzione della Natura sulla Terra. Per questo le giovani generazioni, e quelle future, ne devono essere informate adeguatamente. 

Le centrali nucleari dovevano essere sicure. Sicurissime, come il Titanic. 

Ma è bastato l’errore umano a far precipitare gli eventi fino ad estrometterli da ogni margine di controllo. Il testo che segue è un brano tratto da un mio vecchio libro “Energia Nucleare. Caratteristiche e conseguenze del più potente sistema mai creato dall’uomo”, pubblicato nel 2005 quando sembrava che in Italia la prospettiva nucleare si riaprisse. 


“Il 25 aprile 1986 il personale della centrale iniziò a ridurre la potenza e, come se la sicurezza del reattore non fosse un’esigenza primaria, arrivarono a scortare il sistema di refrigerazione di emergenza, come richiesto del resto dall’esperimento che intendevano portare avanti: una verifica della possibilità di ricorrere all’energia meccanica del turboalternatore in fase di calo della oltranza per fare funzionare le pompe di emergenza. Il reattore funzionò a circa metà della potenza per alcune ore e verso le ore 23 essa venne ridotta ulteriormente, ma vuoi per errore vuoi per incompetenza, il livello della potenza scese addirittura fino a 30 MW termici, fatto che rende dominante un parametro che caratterizza questo tipo di impianto detto “coefficiente positivo del vuoto”. Intorno all’una della notte riuscirono ad alzarla di nuovo, fino a circa 200 MW termici, ma per mantenerla a tale livello ritirarono completamente le barre di controllo, perdendo così un’altra possibilità di controllare un reattore che nel frattempo era divenuto altamente instabile: l’ormai noto coefficiente di cui sopra significava nella pratica incrementi di vapore nei canali di raffreddamento e aveva a quell’ora già aperto la strada a crescite improvvise della potenza. L’instabilità era accentuata anche dalla minore quantità di acqua di raffreddamento che fluiva. Improvvisamente, una forte crescita della potenza fece perdere definitivamente i controllo del reattore agli operatori: alle ore 1.23 della notte del sabato 26 aprile 1986 un’esplosione di vapore, la distruzione del nocciolo, una seconda esplosione un attimo dopo, lo sfondamento del tetto dell’edificio di contenimento dell’impianto furono i primi, nefasti eventi del peggior incidente nucleare della storia.

Immediatamente, e per successivi dieci giorni, enormi quantità di radioattività furono disperse nell’ambiente sotto forma di gas, aerosol e frammenti del nocciolo. L’area circostante di 30 km di raggio venne evacuata e si cercò in ogni modo di abbattere la terribile polvere radioattiva lavando tutto ciò che c’era, ma queste misure non impedirono dosi alla tiroide con punte da 70 mSv negli adulti e 1 Sv nei bambini con picchi da 40 Sv nella zona di Gomel, e una media individuale di 15 mSv. Molte di queste persone hanno continuato a ricevere radiazioni anche negli anni successivi, in relazione alla località dove vennero alloggiate. (...)

Nelle ore successive, il pennacchio di fumo e di polvere radioattiva raggiunse il chilometro di altezza iniziando subito a depositare sul suolo i prodotti della fissione nucleare; poi, un cambio nella direzione dei venti portò la nube in giro sull’Europa, dapprima sulla Scandinavia, in seguito sulle zone centroeuropee e sull’Italia, dove la caduta degli elementi radioattivi contaminò i territori di tutti i Paesi, le aree agricole come le foreste, le case come gli animali selvatici, penetrando insieme all’acqua nel sottosuolo e giungendo, quindi, alla catena alimentare.”




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